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Stassi ritorna felicemente in luoghi della memoria già visitati in altre sue opere. Ritorna Kalamet, il paese ologramma della sicilianità dove, in Fumisteria, avveniva un delitto d’onore e dove qui, in Angelica e le comete, si dipana, fino a una sorta di ecpirosi finale, la vicenda della compagnia di marionette dello Spagnolo. Ritornano gli avvincenti discorsi ascoltati nell’infanzia dalla voce del padre e degli anziani: ma se in Fumisteria riemergevano i lacerti ancora rosseggianti della strage di Portella della Ginestra, qui a riemergere sono le storie fascinose dei cavalieri e delle dame, dei paladini e dei saraceni, eternamente uguali a se stesse, suscitatrici di straordinarie passioni nell’attonito pubblico: i tradimenti del bieco Gano di Maganza, popolarmente e pour cause trasformato in Cane di Maganza, fanno da catalizzatore a un secolare bisogno di ribellione contro i soprusi dei ricchi e dei potenti, e così l’incolpevole pupo, schernito e ingiuriato, finisce vittima della furia incontrollata degli umili spettatori.
La favola è inscenata in un vago 1860, al passaggio dei Mille in Sicilia − “mille scintille rosse” − giudicati dal senso comune filibustieri e pirati, o diavoli come i diavoli del moro Rodomonte. Insomma, con la sua vellutata leggerezza, Stassi ridimensiona l’epica risorgimentale senza insistere troppo. La vita, per il popolo, continua ad essere quella di sempre: semplicemente, per un po’ l’isola è messa sottosopra, così come il senno di Bruciavento, il gigantesco e solitario aiutante dello Spagnolo, sembra anch’esso sottosopra, finito forse, al pari di quello di Orlando, sulla Luna. I due girovaghi hanno un passato misterioso che proietta un cono d’ombra alle loro spalle: si sente un profumo di trascorse ribalderie, hanno certo avuto avventure e viaggiato, hanno ucciso, chissà. E adesso si trovano insieme nella loro ultima gesta, quella della compagnia di marionette che instancabile fa la ronda tra le piazze costiere dell’isola, senza mai addentrarsi al suo interno. L‘eroina della storia è Cate, una povera nana, che rifiorisce e imbellisce ogni sera danzando nelle vesti di Angelica sul modesto palcoscenico dello Spagnolo. Di lei si innamorano tutti i pupi, in particolare Ardesio, che non sa mai da che parte stare, una marionetta per caso, senza pedigree, che nell’incendio finale si immola per salvare la bella del cuore. Con la sua aerea fantasticheria l’autore allude sottilmente a un discorso sull’identità e sulle frontiere: in realtà si tratta di costruzioni mentali. Cate/Angelica non è né donna né marionetta; Ardesio, di legno, si innamora di Angelica, di carne; i pupi vivono le loro passioni come ardessero realmente; lo Spagnolo brama il mare che con i suoi orizzonti aperti lo “clama” – come dice lui, nella sua ibrida lingua − verso l’oltre.
Un elegante, raffinato gioco a incastro, quello di Fabio Stassi − tra fantasia e memoria, tra sguardo sul mondo e malia della lettura − che inizia con il ritrovamento in una polverosa bottega del suo primo dimenticato e scomparso libro, Angelica e le comete, appunto…
Recensione di Mario Marchetti
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