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Quella di Samuel Beckett è, secondo Tullio Pericoli, "la faccia più bella del secolo". Il suo volto dà l'impressione di essere affiorato da un muro, ma anche di essere un paesaggio e una mappa. I suoi segni si indirizzano al dopo , perché "su quella superficie è ormai accaduto di tutto". Come, del resto, accade nei suoi libri, dove sembra che "la parola fine fosse stata scritta prima di cominciare". Non a caso, tra le parole scritte e il volto il rapporto è così denso da lasciare l'impressione che "la faccia se la sia scavata scrivendo". Farne il ritratto, come ammette Pericoli nelle riflessioni che ha raccolto nel Volto dell'anima , significa raccontare un'avventura, che è, contemporaneamente, quella di chi esplora e di chi è esplorato. Il ritratto, infatti, "è un racconto che racconta un altro racconto, e racconta la storia che noi, giorno dopo giorno, scriviamo sulla nostra faccia".
Pericoli - lo ha detto, tra gli altri, Salvatore Silvano Nigro nel saggio introduttivo al volume - non è solo un disegnatore, ma anche uno scrittore. Ad attrarlo, a condurlo in un raffinato gioco di citazioni per immagini, sono gli scrittori, di cui cerca le opere nei volti. Il suo è un operare metafisico: lo affascina scoprire come i segni di una fisionomia nascano dall'anima. Per riuscire si affida ai dettagli. Coglierli non è facile, perché per leggere le facce serve una grammatica che permetta di studiare "la sintassi, le figure, le simmetrie e i bisticci tra nasi e zigomi, fronti e mascelle, lobi e capelli, occhiaie e zigomi". Realizzare un ritratto impone di rinunciare al coinvolgimento emozionale; è necessario "tornare indietro, guardare il volto di nuovo, come fosse una mappa, e misurare le distanze, le relazioni, gli incroci, le dipendenze di un segno da un altro". È il lavoro di un topografo che traccia linee e coglie asimmetrie, lavorando con righello e squadra. Poi arriva l'artista che "deve smettere di leggere i segni per leggere la forma". Ha bisogno di orientarsi nella mappa: disegnare diventa allora come "scavare qualcosa da sotto la polvere, come fare un prelievo archeologico, andare a disseppellire un volto dall'inerzia della carta, della matita, del segno o anche dalla staticità delle foto".
Il risultato è una rappresentazione del volto (anche spaziale, il paesaggio è spesso presente con le dimensioni del "lontano" e del "profondo"), cioè un suo "allestimento" impiantato, secondo Nigro, "nel bordo allusivo tra somiglianza e identità", dove i segni sono innanzitutto le idee che li hanno impressi sulle facce. La bocca e gli occhi sono i luoghi decisivi. La prima perché se ne sta al centro della faccia, non si ferma mai, e "dice quello che pensiamo". I secondi perché sono lo specchio dell'anima e uniscono l'immutabilità della pupilla alla variabilità estrema dello sguardo. Quanto coglie il tratto di Pericoli però poggia su un esile crinale, perché nulla è così precario come l'equilibrio di un volto. Ma se il meno osservabile cambiamento può determinare una catastrofe, è anche vero che, come scrive Georg Simmel, "l'unità del molteplice, e al di sopra di esso, significa proprio che nessuna sua parte può essere investita di un destino che non riguardi anche, quasi attraverso la radice che tiene insieme il tutto, ogni altra parte".
Andrea Giardina
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