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Anni di piombo, penne di latta. (1963-1980. Gli scrittori dentro gli anni complicati) - Roberto Contu - copertina
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Anni di piombo, penne di latta. (1963-1980. Gli scrittori dentro gli anni complicati) - Roberto Contu - copertina
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Descrizione


L'idea da cui nasce questo libro è che il "quindicennio lungo" 1963-1980 sia stato il tratto decisivo di una crisi sistemica del mondo intellettuale italiano. Se nell'immediato Dopoguerra si era giunti alla canonizzazione del modello di intellettuale partecipe alla costruzione di una società migliore, già dalla fine degli anni Cinquanta, e in modo decisivo durante i Sessanta, tale aspirazione entrò in crisi. Gli anni Settanta registrarono un disorientamento nella facoltà degli scrittori di farsi interpreti della realtà. In questo contesto, emersero impreparazione, senso di spiazzamento, a volte imbarazzante mancanza di coraggio. Se al massimo grado di tensione la nostra intellighènzia cercò di partorire il proprio articolato "io so", il mondo rispose con un ben più sonoro "non ci interessa". Il fatto che l'ultima spiaggia di tale pretesa fu quella dei giornali non fece che sottolineare il rumore della ritirata degli scrittori. Gli anni Ottanta avrebbero visto così la luce a partire dal superamento di statuti intellettuali che non avevano retto il colpo di una società divenuta troppo estesa e troppo di tutti per continuare ad aspettare la parola di uno solo.
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Dettagli

2015
31 maggio 2015
512 p., Brossura
9788897738527

Voce della critica

Anni di lotta o anni di latta?

Anni di piombo, penne di latta si basa prevalentemente sugli scritti d’occasione degli autori del tempo, ed è il frutto di un dettagliato e approfondito lavoro di ricerca, specialmente in emeroteca: interventi su questioni antropologico-culturali e politiche, sul presente, pubblicati su quotidiani e riviste (anche se non mancano le eccezioni). Il discorso si sviluppa cronologicamente, affrontando alcune case histories che meglio raccontano il cambiamento della figura dell’intellettuale, spesso presentando la miccia che ha acceso un dibattito, ricostruendo i termini delle diverse querelle, quali sono stati i punti di scontro e di contatto con la società. Ha un gran peso Pasolini, ma non da meno sono Calvino, Fortini, Sciascia, Moravia.

Gli scrittori non sentono più – gramscianamente parlando – «pulsare l’attività della città futura» che la loro parte sta costruendo. Ma qual è poi la loro parte? E l’altra? Nasce la consapevolezza di muoversi in una realtà disgregata, sfaldata, senza centri: dopo un primo spaesamento ha prevalso l’accettazione della perdita di voce, la consapevolezza del silenzio. E poi forte è il peso della difficoltà di dialogare con il nuovo interlocutore, che si definisce chiaramente nel Sessantotto nella generazione protagonista del movimento. Già nel 1961 Pasolini scrive, agli albori del tempo nuovo (nella rubrica Dialoghi con Pasolini tenuta su «Vie Nuove»):

«Perché non mi è mai riuscito di distinguere un “problema della gioventù” […]. Scuola, istituzioni familiari, morale corrente, cattolicesimo, comunismo: questi, e infiniti altri, sono i problemi in cui si innesta il problema dei giovani. Solo risolvendo i primi si risolve il secondo».

Il nodo della questione è prima di tutto sociale, culturale, politico. Le parole di Pasolini sentono nitida l’eco del boom economico (e, anche per gli anni successivi, non si dovrebbero ignorare le sue onde d’urto sulla società tutta) e contengono già in seme i motivi dello spaesamento degli scrittori. Insomma: cambia l’interlocutore perché cambia la storia.

In questi «anni complicati» gli scrittori si sono trovati immersi in un tempo pieno di contraddizioni, e mi pare che la loro sensazione sia stata spesso di avere di fronte la contestazione come stile di vita diffuso, più come si seguiva la moda del pantalone a zampa che come scelta individuale ragionata. Mi viene in mente Parise, che nel suo reportage sul Laos del 1970 (in Guerre politiche) racconta la visita a una scuola e la conversazione avuta col suo direttore:

«“So che i giovani italiani vogliono studiare ma le autorità accademiche e il governo lo impediscono chiudendo le scuole per ragioni politiche. So anche che gli studenti italiani appoggiano la nostra lotta […]”. […] chiedo di poter riferire agli studenti italiani l’orario di lavoro degli studenti del Fronte Patriottico del Laos. L’orario è il seguente:

Ore 5: sveglia. Ore 5-6.30: ginnastica e giardinaggio. Ore 7: piccola colazione. Ore 7-11: lezioni in aula. Ore 11: primo pasto. Ore 11-13.30: siesta. Ore 13.30-16.30: studio personale. Ore 16.30-18: giardinaggio. Ore 18: cena. Ore 18-19: riposo. Ore 19-21.30: studio. Ore 22: dormire. Al pomeriggio del lunedì e del sabato attività artistiche e letterarie. La domenica è dedicata al lavoro dei campi e all’esercizio sull’uso delle armi automatiche e contraeree. Una volta alla settimana, a turno, si formano pattuglie che perlustrano la zona per un raggio di circa cinquanta chilometri.»

Il problema dell’intellettuale-scrittore sembra essere, come suggerisce Contu, un problema generalizzato, prima di tutto socio-culturale. Emblematica la copertina dell’«Espresso» descritta nell’epilogo di Anni di piombo, penne di latta: la foto è quella di Giuseppe Memeo mentre esplode alcuni colpi di pistola ad altezza-uomo durante una manifestazione per la morte di Giorgiana Masi, il titolo del numero è I guerriglieri. Chi sono, come combattono, come vengono combattuti. Fin qui c’è la tragicità dell’immagine, ma nessun cortocircuito. Poi, sempre guardando la copertina, l’occhio di Contu si sposta in basso a destra: Inserto: manuale del buon giardiniere. S’intende forse il giardinaggio come quello degli studenti del Laos, e non lo abbiamo capito? Forse la colpa della perdita di voce degli scrittori, e della parola scritta, non è solo di chi scrive. In questi giorni, mentre muore Fidel Castro, nella sua trasmissione televisiva Lilli Gruber chiede a Gianrico Carofiglio il segreto per scrivere un libro di successo.

Recensione di Ludovica del Castillo.

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