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A chiunque si chieda che cos'è il male è utile mettere subito in mano il Libro di Giobbe. Il male di cui esso parla assume tutte le forme e anzitutto quella della malattia e della morte. Ma è anche il male che gli uomini commettono, spesso nella convinzione di operare il bene: e forse è proprio di questo male che Giobbe parla. La persecuzione, la vittima, il processo: tutto ciò sarebbe dunque al centro del Libro di Giobbe. Ed è anche al centro, sin da La violenza e il sacro, dell'opera di Girard. Non solo: quel centro non è uno dei tanti possibili, ma il centro necessario, ineludibile di ogni pensiero. Esso coincide con una figura: il capro espiatorio, e Giobbe sarebbe appunto il capro espiatorio che più si avvicina alla propria verità. Sotto questo profilo, è illuminante osservarlo sempre in contrappunto a un altro capro espiatorio: Edipo. Ma occorre anche mettere Giobbe in rapporto con fatti dei quali i moderni detengono il triste privilegio, come i processi totalitari. Che altro sono, infatti, i Dialoghi fra Giobbe e coloro che si presentano come suoi «amici» se non il modello di ogni processo in cui l'imputato è già condannato in partenza? Incontrando Giobbe, Girard ha trovato la figura più vicina al cuore di tutto ciò che è andato scrivendo. Il suo pensiero sembra allora addensarsi al massimo e al tempo stesso cercare formulazioni di una chiarezza ultima, indubitabile. «Ci sono due verità in senso relativo, nel senso del "relativismo" e del "prospettivismo", ma c'è una sola verità in rapporto alla conoscenza, ed è la verità della vittima». E alla verità della vittima è dedicata L'antica via degli empi.
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