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Anno edizione: 2004
Anno edizione: 2015
Più che storia, idea. O, se si preferisce, l'inverarsi storico di un'idea, seguendo un tracciato quasi hegeliano. Laddove l'astuzia della storia sta nel perdurare stesso dell'idea. Stefani, conoscitore del mondo ebraico e del suo pensiero, si esercita appunto su un'idea che è anche, ma non solo, la negazione di se stessa. Tra ciò che l'autore tematizza come due compiute dimensioni intellettuali (giudaismo e antigiudaismo) intercorre infatti un rapporto di irrisolta reciprocità inversa. Non vi è solo una fatale contrapposizione, né solo un necessario conflitto, ma una complessa specularità, che si dipana nel corso della storia del cristianesimo, così come dell'ebraismo. Rigettando però la teologia della "sostituzione", che risolve la complessa querelle fra cristiani e giudei nei termini di un patto, quello neotestamentario, che si sovrapporrebbe all'altro, quello "vetero", il che ingenererebbe concorrenzialità teologica e conflittualità umana. Ciò è troppo banalizzante nei confronti di un'idea, quella antigiudaica per l'appunto, in sé complessa e composita, che ha abbisognato di tempo per affermarsi e tradursi in senso condiviso. La novità del lavoro di Stefani consiste così nel conferire all'avversione cristiana nei confronti degli ebrei lo statuto di paradigma intellettuale. Anteponendo la comprensione del costrutto cognitivo e semantico al giudizio sui suoi effetti, per devastanti che siano stati. Per capire il rifiuto degli ebrei occorre allora comprendere come i cristiani si siano accettati. Sia ben chiaro, quindi, che non abbiamo a che fare con un'opera, l'ennesima, sull'antisemitismo, bensì con una ricognizione, intracristiana, sugli specchi di un'identità. E su come essi possano deformarne i tratti.
Claudio Vercelli
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