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Anno edizione: 2021
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RIGONI STERN, MARIO, Il libro degli animali, Einaudi, 1991
RIGONI STERN, MARIO, Arboreto salvatico, Einaudi, 1991
recensione di Papuzzi, A., L'Indice 1992, n. 2
Rigoni Stern vive sull'altopiano di Asiago in una casa ai margini del bosco. Prossimi alla casa sorgono due larici: "me li vedo davanti agli occhi ogni mattino e con loro seguo le stagioni; i loro rami quando il vento li muove, come ora, accarezzano il tetto". Con i larici inizia la bella passeggiata nel mondo degli alberi che ci propongono le pagine di "Arboreto salvatico", un libro semplice e antico che parla di "quando gli uomini vivevano con la natura". Rigoni Stern ha scelto venti alberi; la maggior parte si trovano nel suo brolo, voce che i veneti continuano a usare per indicare il giardino selvatico di casa. Di ogni albero ci vengono spiegate le caratteristiche botaniche, l'ambiente naturale, l'uso che ne fanno i montanari e i contadini, gli influssi sulla cultura popolare, i miti e le tradizioni che lo circondano, ma senza rigidità didattiche o accademismi: è come se Rigoni Stern ci accompagnasse sotto le piante, facendoci vedere la forma delle foglie, degli strabili, dei fiori, mescolando alle informazioni ricordi mitologici, letterari e familiari, come la quercia che il principe Andréj incontra in una pagina di "Guerra e pace" o il verso che Pastern…k dedica al tiglio: "Il cerchio d'oro del tiglio / è come un serto nuziale". Quando Rigoni Stern era ragazzo, nei faggi si cercava dove un bel ramo si innestasse al tronco con la giusta inclinazione: "il pezzo veniva scelto per costruire la 'slitakufa', la slittastoria" (dal tronco si ricavava lo scivolo, il ramo serviva da stanga). Dalla betulla, "praticando un piccolo foro al piede del tronco ", si faceva colare una linfa che aveva virtù terapeutiche. Presso le case si piantava il sorbo perché i suoi rossi frutti attiravano gli uccelli "ed era facile così catturarli, o con il fucile o con le trappole o con il vischio " (quando "pochi erano i denari, rara la carne e arretrata la fame").
Queste evocazioni, questi echi, di vita montanara, di usi domestici, danno spessore narrativo a un libro che deve il suo fascino a una scrittura in cui convivono l'esplorazione paziente della botanica, il piacere incantato di raccontare, l'immedesimazione spontanea nella natura, le osservazioni di sapiente buonsenso, come in questa descrizione del frassino: "Da giovane la sua corteccia è liscia, di colore olivastro, con gli anni diventa grigia, rugosa e fessurata. (Come con l'età gli umani assomigliano agli alberi!) ". Con le loro molteplici forme gli alberi di Rigoni Stern sembrano perimetrare un mondo sopravvissuto, un mondo sempre meno conosciuto in cui si ottiene il sidro dai frutti del melo selvatico e in cui si ricava la manna dalle ferite del tronco del frassino.
A quello stesso mondo, racchiuso in una silenziosa nostalgia, è dedicato "Il libro degli animali", che raccoglie una ventina di brevi racconti già pubblicati su pagine di giornale (non so se tutti, ma mi sembra di sì`). Ritornano le storie di cani e lepri, di caprioli e ghiri, del gufo delle nevi e del merlo amoroso, della passera scoppola e delle coturnici ubriacate. Come ben sanno i lettori di Rigoni Stern, nelle sue rappresentazioni dell'universo animale non c'è alcuna vena antropomorfa. È un universo a parte, con i suoi ritmi e le sue leggi, che l'uomo per accedervi deve riconoscere. L'impressione che suscita è quella di un testamento in cui è distillata una sapienza che oggi non è più recuperabile, che permette di leggere il terreno del bosco come un libro che racconta le cose di un'intera stagione.
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