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Anno edizione: 2002
Anno edizione: 2016
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È bene che nulla vada disperso di un autore come Primo Levi, il quale diceva di voler rendere conto al proprio lettore di ogni singola riga, di ogni singola parola scritta. E questo nuovo libro - curato, così come le sue Opere e le sue Conversazioni, da Marco Belpoliti - mette a disposizione di un pubblico numeroso 250 pagine di scritti dispersi, estratti (tranne il quasi-inedito sul cimitero ebraico di Venezia, datato 1985 e ritrovato solo quindici anni dopo) appunto dai due tomi delle Opere. Il libro ha un titolo che incuriosisce, L'asimmetria e la vita. E prima ancora di arrivare al testo così intitolato, il lettore si accorge che la vitalità di tutto quanto Primo Levi dice e racconta nasce da una discrepanza, da una dissimmetria: dal dislivello tra la sua riservatezza e le sue frontali assunzioni di responsabilità. Anche l'organizzazione del libro, in due parti simmetriche intitolate rispettivamente Buco nero di Auschwitz e Altrui mestieri, conferma questa sensazione bifida: che Levi cioè sia lo scrittore di una chiarezza apparente che non si finirà mai di esplorare, che si sfoglia e si sfalda e rivela doppi, tripli ed ennesimi fondi.
Buco nero accoglie articoli sull'esperienza del lager: ricordi, testimonianze, prefazioni a opere di aguzzini, di vittime e di storici, interrogativi sulla natura della memoria e della storia attuale con le sue distorsioni, i suoi revisionismi e negazionismi, le torture e i genocidi perpetrati al tempo presente. Altrui mestieri è una campionatura delle incursioni che Levi si concede da dilettante d'altissimo livello nelle più vaste geografie dello scibile: a differenza di un libro come L'altrui mestiere, al quale il titolo della sezione si richiama, più che la linguistica e l'etologia sono qui rappresentate l'identità ebraica, la letteratura e le scienze. L'asimmetria e la vita è lo scritto-cardine, il più fecondo e complesso. Levi riprende dopo quarant'anni, per una rivista di divulgazione scientifica, il tema della sua tesi di laurea; da chimico frequentatore della fisica nucleare e dell'astrofisica s'interroga sull'origine della vita, sulla misteriosa circostanza che "l'asimmetria destra-sinistra è intrinseca alla vita; coincide con la vita; è presente, immancabile, in tutti gli organismi, dai virus ai licheni alla quercia al pesce all'uomo".
Levi era stato il testimone delle mostruosità generate dalla ragione elevata ad assoluto e simmetrico principio di un'organizzazione politica mobilitata allo sterminio biologico. Si direbbe che, più ancora del nesso tra l'asimmetria (o l'impurità, il "granello di senapa" da lui tante volte lodato) e la vita, lo affascini quello tra asimmetria e vitalità: il potenziale energetico di tutto quanto non si lascia mettere completamente a fuoco, che non si lascia appiattire a una dimensione. Nella Tregua, accingendosi a presentarci Mordo Nahum, il suo grande Greco, Levi ci racconta che dal rinnovato Caos primigenio del dopo-lager si generavano "esemplari umani scaleni, difettivi, abnormi". Questa aggettivazione (bellissima) si può leggere anche in chiave autobiografica: scaleno era Levi stesso, sagomato dalle linee sghembe delle sue tre esistenze di chimico, di scrittore e di testimone del lager, dissimmetrico e vitale.
È questo che ci affascina in lui: che Levi ha bisogno di sentirsi e di essere scisso, scomposto, spezzato nella vicenda anagrafica, nella mente, nella scrittura, quanto più ostinatamente dà voce all'imperativo morale di giustificare ogni parola. Lo scrittore è un essere che vive di penombra e di reticenza; e Levi - l'annotazione è meno ovvia di quanto sembri - era uno scrittore. Un proposito come quello, se davvero lo avesse rispettato, sarebbe stato paralizzante o distruttivo. Il merito di questo libro sta nel mostrarci ancora una volta la contraddizione da cui nasce e sulla quale fiorisce Primo Levi come uomo e scrittore, l'asimmetria che decide la sua vita e la sua vitalità.
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