Il volume ospita gli Atti della Decima Giornata di Studi del Centro sulla Fortuna dell’Antico, svoltasi il 10 marzo 2013, un appuntamento ormai divenuto consueto nel panorama dell’antichistica. Apre il libro la premessa a firma di Sergio Audano, coordinatore del Centro, a cui seguono le sette relazioni che hanno animato il convegno. Tra gli immediati punti di forza del volume va rilevato come la forma scritta rispecchi fedelmente l’atmosfera cordiale che caratterizza gli incontri e che mai inficia il rigore scientifico delle relazioni. Le note erudite, infatti, non invadono eccessivamente la pagina e gli autori si mostrano attenti a una resa stilistica che non tradisca il calore e la scorrevolezza del parlato. A dimostrazione della forza degli intenti scientifici del Centro, i saggi mettono in evidenza la fondamentale influenza dell’Antico sulla letteratura e sul pensiero storico-politico successivi, senza però trascurarne il carattere di fondamento della prassi scolastica.
Al primo ambito appartiene lo studio di Paolo Desideri (Manzoni e la storia romana: un momento di (s)fortuna dell’Antico nella cultura italiana), che mostra luci e ombre del rapporto tra Manzoni e la storia romana. Dedicato alla fortuna di modelli politici è il saggio di Luca Fezzi (Suggestioni politiche della res publica: il “neoromanesimo”), che rileva come alcuni intellettuali (Millar, Constant, Pocock, Pettit, Viroli) abbiano nuovamente preso a guardare alla res publica romana come a un modello.
Sanno cercare, con molta efficacia, le sorti del classico in luoghi letterari insoliti Giusto Picone (Le sfide del cambiamento: dalle monografie sallustiane al Ciclo delle fondazioni di Asimov) e Patrizia Resta (Nel passato e nel futuro: sistemi di pensiero e modalità di trasmissione nel racconto di Cola Pesce), la cui analisi entra nell’affascinante spazio di indagine del folklore italiano. Ugualmente suggestivo è lo studio di Daria Gigli (Gli dei in esilio: evoluzione di un mitologema dalla Grecia a Heinrich Heine), che segue le peregrinazioni degli sconfitti dei olimpici in seguito all’affermazione del cristianesimo, fino a ritrovarli, esuli e cenciosi, nelle pagine di Heine e Borges.
Alla parte più spiccatamente didattica pertengono due contributi, significativamente basati su due realtà, l’Italia e gli Stati Uniti, spesso sentite come piuttosto diverse in termini di istruzione. Andrea Balbo (Cicerone nella scuola italiana: breve storia di una presenza forte) mostra l'evoluzione del ruolo di Cicerone all’interno dei programmi liceali italiani, rilevando come l’autore sia stato via via proposto a classi sempre più avanzate e con progressiva riduzione della lettura delle opere filosofiche. Un’ottima panoramica della situazione statunitense è fornita da Robert Proctor (Le arti liberali ciceroniane e il dibattito sulle “liberal arts” nella scuola americana contemporanea), che illustra come il concetto ciceroniano di arti liberali continui a permeare lo spirito dei liberal arts colleges statunitensi, i cui statuti originari prevedono l’offerta di una formazione non tecnico-utilitaristica, ma fortemente orientata verso le discipline umanistiche.
Alice Borgna