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Nei quartieri dove il sole del buon Dio
non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente
d’altri paraggi…
Difficile non pensare a Faber, nel thriller d’esordio di Giuliana Balzano.
Benché vi sia un accenno anche alla Svezia, sono i vicoli e i carrugi di Genova, a rubarne la scena. Non fanno solo da sfondo al romanzo, ma sono essi stessi la perfetta sintesi del romanzo stesso.
Tanti e diversi sono i personaggi che ruotano, in modo più o meno diretto, intorno ad Astrid Berglund la direttrice della fabbrica trovata assassinata nel suo ufficio.
Ma così come per le strade di Genova è facile confondersi, anche io, durante la lettura, ho perso più volte l’orientamento. I dettagli, gli spunti e i particolari fisici e psicologici di ogni personaggio, descritto senza lasciare nessuna caratteristica al caso, si muovono come riflessi di un caleidoscopio in una trama decisamente articolata e ricca.
Il commissario Rielli è alle prese con un turbinio di menzogne, mezze verità, tradimenti e omissioni. Il silenzio e la pesantezza del non detto; del sospetto che si finge verità e confonde, molto spesso, le carte in tavola non solo a chi è chiamato ad investigare, ma anche al lettore.
La fabbrica scena del crimine, salvo rare eccezioni, è popolata da archetipi che rappresentano ognuno quanto di più torbido è presente nella natura umana. Le loro storie, le loro colpe, le vicissitudini, riescono alle volte a far passare in secondo piano l’omicidio, il movente e l’indagine stessa.
Ciò nonostante, l’abilità di Rielli consiste nel tessere in un’unica ragnatela, con le informazioni che riesce a carpire o dedurre. E con la pazienza che solo un ragno può avere, sutura e riprende i fili ove, a causa dell’ennesima menzogna, la rete si spezza.
Alla fine, il vero e unico assassino, non potrà che arrendersi all’evidenza.
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