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bello il titolo, brutto il libro.
Bello il libro, orrido il titolo.
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C'è una notazione, tra le molte suggestive che gremiscono L'autoreverse dell'esperienza , da cui conviene cominciare: "Se nel capolavoro di Musil che apre il XX secolo ci veniva spiegato che oggi ti ritrovi con le qualità senza l'uomo, al volgere dello stesso secolo hai sì le esperienze, ma senza chi le fa". Da completare consì: "L'esperienza, nel momento in cui diventa reversibile, evapora. Nulla lascia più tracce su di noi. Così, ben al riparo da ogni delusione, pronti a consumare ogni cosa in fretta e senza eccessivi turbamenti, ci accade di galleggiare su una nuvola di confortevole irrealtà. Volendo immunizzare l'esistenza contro la sventura, il caso, la depressione, il dolore fisico, la morte, abbiamo finito con l'immunizzarla contro se stessa". La Porta vi condensa almeno una delle verità, diciamo epistemologiche, cui è approdato il secolo appena trascorso. E nello stesso tempo vi contrae una delle sue principali preoccupazioni: che ormai si viva tutti dentro l'ossimoro di un'esperienza così depauperata da coincidere con il suo opposto, l'astrazione, fino a rappresentarne la forma più aggiornata e subdola. Con una postilla carica d'implicazioni civili e pedagogiche, dove entra in gioco anche un patema di padre (La Porta, senza indulgere in narcisismi, appartiene alla famiglia di saggisti che parlano a titolo personale: da Chiaromonte al vicinissimo Berardinelli): d'essere arrivati al punto in cui, per la prima volta, si corre il pericolo che nulla sia più trasmissibile in eredità da una generazione all'altra. Entro un processo globalizzante in cui "il caso Italia" pare candidarsi a un ruolo d'avanguardia.
Lo si sarà capito: quello di La Porta non è un libro sulle condizioni di possibilità dell'esperienza al tempo della virtualità e della simulazione, ma una cordiale, affabulante, proposta fenomenologica: a restituire la continua conversione di esperienza in realtà e viceversa. L'apertura del compasso è invidiabile: e va da Nietzsche al Pierfrancesco Pacoda di Hip hop italiano . Suoni, parole e scenari del Posse Power , da Philip K. Dick a Tommaso Pincio. Nei modi di un'intelligenza prensile e onnivora. Con un solo rischio: di metabolizzazione. A descrivere una situazione irrecuperabile? Non si direbbe: se è vero che, attraverso la letteratura (romanzi e, sopratutto, saggi), il critico non rinuncia allo scrutinio di molti tentativi di riappropriazione della realtà. Se La Porta è il patologo della nostra contemporaneità, l'isolamento del virus gli ha comportato, da sempre, la predisposizione del vaccino. A pensarci bene: non è questo il libro verso cui sembrano convergere tutti gli altri? Ecco: la reversibilità dell'esperienza non è stata una delle bussole che gli ha orientato il giudizio di valore nel fortunato volume sulla nuova narrativa italiana (1999)? Le frasi fatte e i modi di dire, in Non c'è problema (1997), non ampliano il campo d'una medesima sintomatologia? Per non parlare della partita giocata con Pasolini nel saggio del 2002. Per queste ragioni credo abbia scritto il suo libro più bello e maturo. Di sicuro quello necessario.
Massimo Onofri
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