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Autunno tedesco - Stig Dagerman - copertina
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Autunno tedesco

Descrizione


«Autunno tedesco è uno dei migliori libri mai scritti sulle conseguenze della guerra, nella tradizione di grandi classici come quello di John Reed sulla Russia e di Edgar Snow sulla Cina.» Henning Mankell

«Di fronte al corto circuito linguistico e morale che pervadeva i testimoni tedeschi, Dagerman compì un'operazione coraggiosa: si assunse la responsabilità dello sguardo. La responsabilità di raccontare ciò che per quasi tutti era meglio lasciare sepolto fra le macerie»dalla postfazione di Giorgio Fontana

Nel 1946 furono molti i cronisti che accorsero in Germania per raccontare quel che restava del Reich finalmente sconfitto, ma dal coro di voci si distinse quella di uno scrittore svedese di ventitré anni, intellettuale anarchico e narratore dotato di una sensibilità fuori dal comune, inviato dall’Expressen per realizzare una serie di reportage poi raccolti in un libro che è considerato ancora oggi una lezione di giornalismo letterario. Mentre le testate di tutto il mondo offrono il ritratto preconfezionato di un Paese distrutto, che paga a caro prezzo gli orrori che ha seminato e dal quale si esige un’abiura convinta, Dagerman, libero da ogni pregiudizio ideologico e rifiutando ogni generalizzazione o astrazione dai fatti concreti e tangibili, si muove fra le macerie di Amburgo, Berlino, Colonia, su treni stipati di senzatetto e in cantine allagate dove ora vivono masse di affamati e disperati, cercando di capire nel profondo la sofferenza dei vinti. Ne emerge un quadro molto più complesso di quello che è comodo figurarsi. Mentre ci si accanisce a cercare nostalgici nazisti, Dagerman si chiede come può un padre che vede morire il figlio di stenti dichiarare che ora sta meglio di prima; mentre le potenze occupanti pensano a punire e ad allestire processi, Dagerman descrive la «messinscena» di una denazificazione di facciata e la morte spirituale di un Paese che è troppo impegnato a lottare ogni giorno con la morte per riflettere sui propri errori, perché «la fame è una pessima maestra» per educare i colpevoli. Con il suo acume analitico e la sua empatia capillare, Dagerman scava nelle contraddizioni della Germania postbellica offrendoci un manifesto di accusa contro tutte le guerre, e una riflessione amaramente attuale sul potere, la giustizia e lo Stato.
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Dettagli

2018
24 gennaio 2018
159 p., Brossura
9788870914894

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Cosimo Piovasco
Recensioni: 5/5
Letteratura in presa diretta

"Il giornalismo è l'arte di arrivare troppo tardi il più in fretta possibile. Io non lo imparerò mai." Così scriveva Stig Dagerman: in questo volume, che raccoglie i reportage dalla Germania, scritti nel 1946, egli riesce ad andare oltre i limiti del giornalismo. Ci offre un'opera di letteratura in presa diretta, nella quale percorre la via della solidarietà e della comprensione umana, sfuggendo alle comode formule (scorciatoie) della "colpa collettiva" e della "obbedienza dovuta".

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enrico
Recensioni: 5/5

Autore scoperto grazie al bellissimo Tuttolibri de La Stampa, Dagerman mi ha conquistato profondamente sin dalla prima pagina. Incredibile la maturità dell'autore (scrisse questo reportage a 23 anni!), meravigliosa la sua capacità di andare a fondo, senza pregiudizi e superficialità. Lo consiglio vivamente!

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cecilia
Recensioni: 4/5

La sofferenza guida lo sguardo dell'Autore e le parole che riempiono questo straordinario reportage arrivano a noi insieme al loro alto valore morale. Una riflessione, quella di Dagerman, che va oltre il resoconto giornalistico per approdare piuttosto a un bisogno di interrogazione che riguarda tutti, ieri come oggi. Ottima edizione Iperborea, adeguatamente completata dalla biografia dell'Autore e dal commento di Giorgio Fontana.

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Voce della critica

Dagerman, giornalismo letterario dalla parte dei deboli

Tra l’ottobre e il dicembre del 1946, un giovanissimo Dagerman viene incaricato da un quotidiano svedese di trasformare il viaggio nella Germania del dopoguerra in un reportage che parli al mondo della vita tra le macerie. Ne deriva quella che, ancora oggi, è considerata una lezione magistrale di giornalismo letterario. Originariamente pubblicato in Italia da Edizioni Lindau, torna in libreria Autunno tedesco di Stig Dagerman per Iperborea, che mantiene la traduzione di Massimo Ciaravolo, ma a cui si aggiunge una prefazione di Giorgio Fontana.

Solo dalla penna di un uomo anarchico, ben disposto all’ascolto dei più umili, puro e immune da compromessi ma anche dal pietismo, sarebbe potuta nascere una prosa così limpida e pulita, onesta e diretta. Solo il giovane «Camus svedese», sarebbe potuto andare controcorrente, contro la volontà di punire un popolo che con le proprie azioni aveva determinato una delle più grandi catastrofi della storia del mondo.

In questi articoli si ripete spesso che è un triste autunno: è una stagione cruciale nella storia della Germania e questo si vede non solo nel tempo, ma soprattutto nell’anima e nel corpo. I giudizi dei cronisti dell’epoca si rivelano molto superficiali, specchio di un sentimento di vendetta ampiamente condiviso nel mondo occidentale. La realtà con cui entra in contatto Dagerman è quella dei giovani che devono scontare le colpe dei propri padri, che rimproverano i genitori o che, al contrario, sono cresciuti nell’ideologia nazista e che non concepiscono l’idea di democrazia; in ogni caso, si tratta di generazioni tradite e totalmente alla deriva. L’autunno che si percepisce scendendo tra le persone più umili riguarda un corpo ormai tanto vecchio e sporco da non poter nemmeno essere venduto all’esercito di liberazione in cambio di qualche pezzo di cioccolato o sigaretta; riguarda anche il precoce tramonto dell’infanzia, che si consuma all’esterno solo per procacciare qualcosa di commestibile invece che per giocare. Quale risposta ci si può aspettare da persone costrette a un’esistenza disumana, private di qualunque dignità? Ci si può sorprendere che affermino di preferire le condizioni di vita di cui godevano prima?

Nella cronaca qui narrata c’è spazio soprattutto per la società e per le persone che continuano, nonostante tutto, a nutrire sogni, primo tra tutti quello di lasciare il Paese che li ha ingannati. Dagerman sta sempre dalla parte del debole, dello sconfitto. È così che si trova a raccontare ma soprattutto a vivere le macerie, le città-fantasma, i treni gremiti che procedono lentamente, ma su cui la gente è costretta a salire per cercare lavoro o cibo. Tuttavia il nazismo continua a persistere tra la povera gente nelle buie cantine, nonostante l’umidità, nonostante la mancanza di cibo e lo squallore. Sarebbe molto utile affiancare questo reportage allo studio dei libri di storia, così rigidi e rassicuranti nella netta distinzione tra buoni e cattivi, le cause e le conseguenze, la provocazione e la vendetta, per capire come invece la realtà non abbia colori così netti, ma sfumature che ne smussano i contorni e i significati.

L’importanza della letteratura come testimonianza subentra all’inevitabile giudizio morale che consegue al racconto della storia mediato dai vincitori: è importante comprendere che categorie troppo definite non esistono prima che la storia le collochi nel proprio contesto, cioè prima che sia troppo tardi per evitare gli errori, le tragedie, i pianti. Solo un non-giornalista, giovanissimo ma già autorevole e molto analitico, umanissimo ma mai indulgente, avrebbe potuto narrare con tale trasparenza la forza di un popolo umiliato, totalmente sconfitto che cerca di risollevare il capo dall’inferno in cui si trova. Perché in tempo di guerra non c’è morale, non c’è bene e male, giustizia o assoluzione. Questo reportage non è mera testimonianza ma totale partecipazione: pagine – dense, necessarie e mai superflue – narrano un toccante itinerario tra le rovine, in quello che può considerarsi quasi un romanzo di viaggio. Il linguaggio, mediato dallo sguardo estremamente umano di Dagerman, è più lirico che giornalistico, senza che la poesia vada a intaccare la verità.

Recensione di Paola Lorenzini

 

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Conosci l'autore

Stig Dagerman

1923, Alvkarleby

Stig Dagerman è stato uno scrittore svedese. Dopo i primi romanzi, Il serpente (1945) e L’isola dei condannati (1946), imperniati sui temi dell’angoscia e della paura, scrisse, sotto l’influsso di Strindberg, Kafka e Faulkner, il romanzo Bambino bruciato (1948), nonché quella specie di testamento spirituale che è Il nostro bisogno di consolazione (1952), oltre a numerosi drammi in cui emerge il motivo della solitudine esistenziale. Tra le altre opere, il reportage dalla Germania distrutta Autunno tedesco (1947) e i racconti I giochi della notte (1947).Anarchico lucido e appassionato, militante in difesa degli umiliati, degli offesi e dell'inviolabilità dell'individuo, Dagerman resta nella letteratura svedese una figura culto. Muore a trentuno anni,...

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