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Azione popolare. Cittadini per il bene comune - Salvatore Settis - ebook
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Informazioni del regalo

Descrizione


«Azione popolare» è il pieno esercizio del diritto di cittadinanza, per imporre un'agenda politica centrata sul bene comune. Il suo manifesto esiste già: è la Costituzione. Che società ci aspetta sotto l'assolutismo dei mercati e il ricatto del debito pubblico? Quale ambiente, quale cultura, salute, educazione? Quale giustizia sociale? Serve un'altra idea di Italia per liberare energie civili, creatività, lavoro. Per la Costituzione, lo Stato siamo noi. Cittadini responsabili. In prima persona. Indignarsi non basta. Contro l'indifferenza che uccide la democrazia, contro la tirannia antipolitica dei mercati dobbiamo rilanciare l'etica della cittadinanza. Puntare su mete necessarie: giustizia sociale, tutela dell'ambiente, priorità del bene comune sul profitto del singolo. Far leva sui beni comuni come garanzia delle libertà pubbliche e dei diritti civili. Recuperare spirito comunitario, sapere che non vi sono diritti senza doveri, pensare anche in nome delle generazioni future. Ambiente, patrimonio culturale, salute, ricerca, educazione incarnano valori di cui la Costituzione è il manifesto: libertà, eguaglianza, diritto al lavoro. La comunità dei cittadini è fonte delle leggi e titolare dei diritti. Deve riguadagnare sovranità cercando nei movimenti civici il meccanismo-base della democrazia, il serbatoio delle idee per una nuova agenda della politica. Dare nuova legittimazione alla democrazia rappresentativa facendo esplodere le contraddizioni fra i diritti costituzionali e le pratiche di governo che li calpestano in obbedienza ai mercati. Ricreare la cultura che muove le norme, ripristina la legalità, progetta il futuro. Serve oggi una nuova consapevolezza, una nuova responsabilità. Una forte azione popolare in difesa del bene comune.
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Dettagli

Testo in italiano
Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
228 p.
Reflowable
9788858406830

Voce della critica

Succede, non frequentemente per la verità, che specialisti accademici di grande valore – giuristi, filologi, ingegneri, storici ‒ sentano impellente, a un certo punto della loro vita scientifica, la necessità di trascendere le ricerche cui si sono dedicati per volgere lo sguardo alla più generale situazione del mondo. Lo stimolo per queste discese in campo nasce dalla crisi globale. Crisi che ha connotati particolarmente acuti nel nostro paese. Basti pensare alla cosiddetta "lotta di classe dall'alto" contro i ceti meno abbienti, attuata sia dai governi che dalle organizzazioni degli imprenditori; ai diritti entro i luoghi di lavoro messi a repentaglio dalla progressiva distruzione dello statuto dei lavoratori; alla protezione dei profitti parassitari delle grandi imprese, indifferenti alla cementificazione del territorio; e soprattutto ai pericoli corsi dalle libertà democratiche, a causa dell'ottundimento della capacità critica dovuto all'asservimento operato dai mezzi di comunicazione di massa, che riducono il pensiero a passività ludica. Un caso eminente di sconfinamento dal proprio orto è quello di Salvatore Settis, professore di storia dell'arte alla Normale di Pisa, da anni esegeta implacabile non solo della distruzione dei beni culturali, ma anche delle altre degenerazioni in atto nel nostro paese. Nel succedere a numerosi libri, articoli di giornale, conferenze, questo recentissimo testo si segnala per un'interessante novità. Settis ovviamente non rinuncia a un'approfondita analisi dei mali che ci affliggono. Ma, consapevole che la censura, se pur necessaria, non è sufficiente, si adopera con grande passione civile a investigare i possibili strumenti per l'auspicato cambiamento. Indignato prima, ma poi entusiasta, nel corso di una ricerca indirizzata a far capire e a persuadere della giustezza delle sue proposte. Troviamo qui un'impressionante base di dottrina, in un arco di tempo che fa transitare il lettore dai filosofi greci al diritto romano, alla legislazione dei comuni e del papato, ai sociologi nordamericani contemporanei. La lotta per la Costituzione e per i beni comuni è la parola d'ordine, nel contesto di una consumata e risalente abilità nell'impiego degli istituti giuridici, testimoniata dal conferimento di due lauree honoris causa in giurisprudenza. Con riferimento ai beni comuni l'autore rifiuta le prospettive, utopiche e anarchiche, indirizzate verso la soppressione del controllo dello stato che si concreta attraverso il demanio per sostituirlo con il controllo delle comunità di base. Propone invece di affiancare ai beni pubblici la titolarità delle comunità suddette su alcune categorie di beni, in particolare quelli, a cominciare in tema di ambiente, la cui conservazione contro le aggressioni dell'individualismo proprietario è essenziale non solo per il presente, ma anche per i diritti delle generazioni future. In proposito viene dato molto peso alla tradizione degli usi civici, in parte ancora attivi. Peso derivante, direi, più dal rilievo teorico del modello che dall'incidenza pratica, oggi pressoché nulla, vista la liquidazione degli usi gravanti su proprietà private, senza contare l'emigrazione e l'inurbamento che hanno reso semideserte le campagne, confinando nell'irrilevanza le comunità che se ne giovano. Con riferimento alla Costituzione, Settis rileva lo strettissimo nesso con i beni comuni, il cui godimento si attua grazie all'esercizio dei diritti fondamentali che la nostra Carta fondamentale protegge. Siamo in presenza di un discorso che si colloca nel filone dell'odierno neocostituzionalismo, dottrina che tende a sottolineare la superiorità assiologica della Costituzione sulla legge e la sua funzione di orientare la legislazione verso il riconoscimento dei diritti fondamentali anche quando non espressamente regolati, ma enunciati in dichiarazioni che incorporano principi di giustizia oggettivi, come quella dell'articolo 2, che proclama il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'individuo. Che la Costituzione, nei discorsi di molti oppositori dello statu quo sia oggi la bandiera che contrassegna le loro battaglie ben si capisce. Nata in uno dei pochi momenti felici della nostra storia, il legislatore costituente è stato capace nei "Principi fondamentali" e nella "Parte prima" non solo di guardare al passato della dittatura assicurando la libertà di riunione, di opinione, di stampa, di tutela giurisdizionale dei diritti, ma anche di guardare al futuro della repubblica, promuovendo la libertà dal bisogno, dalla malattia, dall'ignoranza, dalle manipolazioni mediatiche, dalla distruzione delle risorse naturali. Come lottare per la Costituzione, sempre più tradita con riguardo alla seconda categoria di libertà considerato che viviamo in un momento storico in cui la degenerazione del sistema di mercato indotta dalla speculazione finanziaria sta distruggendo l'economia reale? Poiché non ci sono prospettive di rotture rivoluzionarie nel prossimo futuro, direi che esistono solo due alternative. Affidarsi ai sistemi di controllo giurisdizionale affinché affermino la superiorità della costituzione sul legislatore ordinario, sanzionandolo per le sue omissioni in materia di diritti fondamentali ivi riconosciuti. Oppure mobilitarsi per ottenere che il sistema della rappresentanza democratica assuma i necessari provvedimenti legislativi. La mia impressione è che l'autore si affidi principalmente agli strumenti della giurisdizione. È vero che moltissime pagine sono dedicate ai movimenti che vanno nascendo nella società civile, con particolare riguardo all'associazionismo a difesa dei beni comuni, fonte possibile di una vasta riaggregazione dei cittadini per operare "una ribellione civile in nome della legalità costituzionale" (corsivo dell'autore). Ma è altrettanto vero che poi il discorso si conclude con il rinvio all'azione popolare, che dà il titolo al libro, con ricerca puntigliosa dei precedenti, risalendo fino all'actio popularis del diritto romano, e delle sue articolazioni odierne, così sono definite, dall'azione di classe ai ricorsi amministrativi in tema di ambiente e di concessioni edilizie. Dovendosi poi aggiungere le sentenze della Corte costituzionale, qua e là ricordate, che hanno consentito la protezione dell'ambiente e di alcuni diritti sociali in fattispecie, peraltro, alquanto ristrette. Devo confessare una perplessità. L'azione di classe nei confronti della pubblica amministrazione ha un ambito molto circoscritto e i giudici amministrativi sono generalmente proclivi ad atteggiamenti burocratico-formalisti che impediscono di varcare confini. L'azione di classe presso i giudici ordinari è limitata alla protezione dei consumatori, a differenza di quella nordamericana, spesso utilizzata a tutela dei diritti civili. Gli altri istituti ricordati hanno un'importanza marginale. Quanto alla Corte costituzionale è da dubitare, anche per le modalità di selezione dei suoi membri, che essa oserebbe ricorrere, in materia di beni comuni e di diritti fondamentali, all'esercizio del suo potere di emanare sentenze manipolative di accoglimento indirizzate a colmare, ove mai ne fosse investita, omissioni della legislazione ordinaria in quelle materie. Certo, molto ardua è la seconda alternativa, vale a dire affidarsi alla politica in senso stretto per ottenere con il voto un cambiamento di direzione dal governo e dal parlamento. Non si può negare, come viene reiteratamente sottolineato da Settis, che la democrazia rappresentativa è oggi inquinata da un ceto politico autoreferenziale all'interno del sistema dei partiti e che il conformismo di massa per ora imperante rende difficile sostituire un personale in prevalenza preoccupato dei propri privilegi con un personale che si occupi della promozione dei diritti fondamentali previsti o recepiti dalla Costituzione. Ma non si deve dimenticare che il parlamento è il principale luogo di esercizio della sovranità popolare, competente anche a modificare la Costituzione, come in senso ahimè regressivo si è cercato di fare nell'ultima legislatura con alcuni disegni di legge. Ebbene, credo si debba confidare che una società come quella italiana, sempre più liquida come rilevano molti sociologi, possa riuscire in un futuro speriamo non troppo lontano a riarticolarsi così che il buon senso finisca per prevalere sul senso comune. Proprio perché, come Settis rileva, i semi della rinascita stanno crescendo in fondo al baratro, possiamo affidare con fiducia la nostra politica e la nostra democrazia al crescente attivismo sociale. Sergio Chiarloni

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Conosci l'autore

Salvatore Settis

1941, Rosarno (RC),

Salvatore Settis è archeologo e storico dell'arte, e si è laureato nel 1963 in Archeologia Classica alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Collabora stabilmente con «La Repubblica», «Il Sole 24 Ore» e «L'espresso». È stato visiting professor in Università americane ed europee e nel 2001 ha tenuto le Mellon Lectures di Storia dell'Arte alla National Gallery di Washington. Dopo aver diretto il Getty Research Institute for the History of Art di Los Angeles (1994-99), è tornato a insegnare Storia dell'Arte e dell'Archeologia Classica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, di cui è stato direttore. Accademico dei Lincei, delle Accademie delle Scienze di Berlino, Monaco e Torino, dell'Accademia Reale del Belgio e dell'American...

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