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Se dovessi dare un voto al finale darei sicuramente 5/5 in quanto è veramente geniale. Da una chiave di lettura molto interessante ed innovativa per quanto riguarda il dolore che ci trasciniamo dietro dal passato. Per citare F.S.F "continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato". Purtroppo c'è anche il film e la discesa agli inferi della protagonista ricalca in troppi aspetti quella del grande Jack in Shining. Manca solo che il bambino lo chiamavano "Danny" ed eravamo apposto. Un conto è fare un omaggio o ispirarsi, un conto è copiare e qui troppe situazioni lo ricordano. Se volete c'è anche un po' dell'esorcista ma in salsa laica. Ripeto: finale pazzesco, il resto è quasi un plagio..
Troppe volte il vero orrore è dettato da una quotidianità opprimente, complessa, drammatica e difficile da sostenere. Una madre sola, un bambino piccolo aggressivo e difficile, i problemi economici. A tutto ciò si somma l'ingombrante ed inquietante presenza di Babadook, prima catalogata dalla madre come una fantasia infantile e in seguito tramutatasi in orrenda possessione. Il regista mette molta carne al fuoco, il climax cresce a dismisura, così come la tensione. Tutto bene fino al raffazzonato finale, che seppur ingegnoso e non convenzionale viene buttato in pasto allo spettatore nel volgere di pochi minuti e in maniera non soddisfacente. Peccato perchè si sarebbe potuto sviluppare in modo migliore la tematica del come l'amore vince la possessione. Da vedere, comunque.
Che Babadook non sia un film dell'orrore come altri è subito evidente dalla prima inquadratura di Amelia che nei suoi sogni dolcemente cade nel letto in cui si sveglierà. La regista sa bene che l'horror può avere molti fini, che smuovere un profondo senso di instabilità e risvegliare fantasmi di terrore nello spettatore serve a qualcos'altro, è solo la prima parte di un processo che termina altrove. Nonostante sia quindi abile nel terrorizzare in realtà l'obiettivo di Jennifer Kent è un altro. Il suo film, mentre si presenta come una classica storia di famiglie perseguitate, rinnega qualsiasi luogo comune della messa in scena: non usa mai impennate sonore o anche solo apparizioni improvvise per prediligere un tono cinereo. Una fotografia studiata in armonia con l'arredamento della casa (set principale di tutta la storia) in un continuo grigio funereo che solo lentamente lascia emergere il suo uomo nero. Anche la minaccia del titolo è mostrata con l'uso di una inusuale stop motion frenetica (come nei videoclip di Marilyn Manson degli anni '90) e riferimenti ad un immaginario gotico in cui però non c'è nulla d'adorabile. Le idee attraverso le quali Babadook colpisce il cerchio delle regole dell'horror e la botte di un sentimentalismo finalmente non di facciata (in più d'un punto è possibile commuoversi onestamente per la tremenda sete d'amore soppressa) sembrano non finire mai; il suo lungo delirio e la caccia che occupa tutta la seconda parte sono un piacere per gli occhi e, cosa rara, il terrore che infonde è il contrario dell'epidermica tensione degli horror mediocri, una profonda sensazione di disagio nei confronti del nero che respingiamo nell'angolo del nostro cervello per poi ritrovarlo che emerge dalle ombre, dentro gli armadi o sotto i letti. Il finale è geniale come non si era mai visto; getta una luce diversa su tutta la storia per svelarne la natura di favola morale.
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