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Nel 1921 una donna friulana, Maria Bergamas, che aveva perso un figlio nella Grande Guerra, è chiamata a scegliere fra undici bare di soldati senza nome quella che sarebbe stata sepolta nell’Altare della Patria a Roma, a simboleggiare il Milite Ignoto. Bubola immagina che dalla morte i soldati sconosciuti le parlino, rivelando la loro identità e la loro storia. Vengono da ogni parte d’Italia, ci sono contadini, muratori, fornai, falegnami, sarti, veterinari, seminaristi; sono caduti su tutto l’arco del fronte, morti di baionetta, sepolti nelle gallerie di mina o dalla valanga, avvelenati dai gas, uccisi in un assalto o da un cecchino, davanti alle trincee nemiche o in un ospedale da campo; a casa hanno lasciato moglie e figli o vivevano ancora con i genitori. Hanno in comune una cosa: tutti avevano meno di trent’anni. E’ una Spoon River italiana di soli soldati, che hanno condiviso la paura, il fango, la fatica, la sofferenza, l’incomprensione della guerra; ora tutti giacciono, corpi sfatti e ormai leggeri, nelle modeste bare di legno, senza la pietà di un nome e delle lacrime di una madre. Massimo Bubola è un musicista e un poeta, ha scritto con Fabrizio De André canzoni indimenticabili, come “Fiume Sand Creek”, “Sally”, “Andrea”, vere poesie in musica. Questi undici brevi racconti danno voce ai morti dimenticati di quel massacro insensato che è la guerra. Il libro ricorda le storie dell’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo” di Fabrizio De André, che s’ispira, appunto, all’”Antologia di Spoon River”, e con parole semplici rievoca piccole vite, trascorse nel dolore o nella gioia, rassegnate e insignificanti per il mondo. Bubola si è dedicato alla ricerca del patrimonio storico della Grande Guerra e ha dedicato a essa i versi delle canzoni con cui apre ogni capitolo. Ho scoperto quasi per caso questo piccolo libro, finito in poche ore, e l’ho trovato uno dei più belli e toccanti che abbia mai letto.
Con uno stile tra la canzone e la poesia, l'autore ci racconta storie e vite di alcuni ragazzi che hanno lasciato le proprie vite sulle montagne durante la Grande Guerra. A tutte queste storie fa da legante la cerimonia di "scelta" della bara del milite ignoto che sarà trasferita a Roma in memoria di tutti i soldati che non sono più tornati.
E’ il 28 ottobre del 1921 e siamo all’interno della Basilica di Aquileia, affollata di vedove di guerra, di reduci, di militari di alto grado e di politici; tutti gli occhi sono rivolti a Maria Bergamas, madre di un irredento disperso nella grande guerra, la quale dovrà scegliere fra gli undici feretri allineati nella navata centrale quello del milite ignoto, che dovrà poi essere traslato a Roma per essere posto dentro il Vittoriano. Quindi la geniale intuizione del generale Giulio Douhet sta per concretizzarsi, intuizione che vuole essere un ringraziamento ufficiale a chi è caduto sul campo di battaglia, a chi si è immolato per la patria. La donna, in gramaglie, che ha già da tempo un colloquio muto con il figlio defunto, si avvicina a ogni bara e percepisce il racconto della vita e della morte che ciascuno di quei corpi ignoti le trasmette e per ognuno lei ha una reazione altrettanto muta, in una sorta di colloquio silenzioso che non viene intuito dai presenti, tutti tesi a vedere quale sarà il feretro scelto da Maria Bergamas. L’intuizione di Bubola, poeta, musicista e scrittore, è geniale, con quel suo dare la voce a chi voce non ha, ma il rischio, dato l’argomento, di incorrere in una retorica asfissiante è concreto, anche se l’abilità dell’autore è tale da evitarlo, soprattutto perché gli scopi dell’opera non sono l’esaltazione della nostra vittoria in una guerra sanguinosa, non è l’ode a una patria volta ad affermare la sua supremazia, sono invece quelli ben più nobili di un’invocazione alla pace, alla fratellanza fra i popoli, a ritrovare un’umanità che sappia cogliere nei comuni gesti della vita un punto di unione e non di disaccordo. Fra questi poveri soldati che riposano nelle bare non c’è mai odio e anche la vita che raccontano è quella di gente costretta alla guerra e che si accorge di combattere non per ideali, bensì per l’interesse di chi ha il potere. Ballata senza nome è un’autentica chicca.
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