Balthazar
di Lawrence Durrell
«Gli intrighi del desiderio, il bene e il male, la virtù e il capriccio, l'amore e il delitto si aggiravano oscuramente per gli angoli bui delle strade, dei salotti e dei bordelli di Alessandria» Il lettore odierno non si libera dalla sensazione che il Quartetto sia anche un gioco col grande romanzo modernista, e se non la sua (involontaria?) parodia, certo la sua archiviazione. Il «messaggio» che Durrell inscrive nelle pagine finali di Clea - la rinuncia alla hybris intellettualistica del sapere come forma di fagocitazione della realtà - non equivale forse a una presa di distanza, anzi a un vero e proprio congedo da quella che era stata l'eroica e nobile utopia della letteratura modernista: riuscire a dare, malgrado tutto, un ordine e quindi un senso al mondo e alla storia? A Lawrence, che pure ammirava, Pursewarden una volta scrisse che non gli sembrava proprio il caso di costruire un Taj Mahal intorno a una cosa semplice come una bella scopata. Ciò che il lettore si chiede è se l'intero Quartetto non sia per caso una deflation del Taj Mahal costruito dalle archistar della narrativa novecentesca intorno ai Massimi Problemi dell'Arte e della Vita, dell'Io-dello-Scrittore e della Forma-del-Romanzo... Deflation ovvero gioco e pastiche che, nel momento stesso in cui rifanno il verso ai loro modelli, li decostruiscono umoristicamente prima di riporli nel magazzino dei ferrivecchi. dalla prefazione di Giuseppe Sertoli )
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