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Si legge fino alla fine, e questo non è scontato quando certi altri tomi di Umberto Eco si perdono in meandri troppo complessi per chi, oltre alle inevitabili disquisizioni filosofico/storiche, ha bisogno anche di una trama avvincente. Qui l'equilibrio è ottimo, perchè è interessante il paragone tra le tante problematiche dell'Europa del 1100 lette con metafore religiose e simili. Però, se in altre occasioni a togliere le letture universitarie restava davvero nulla, qui si può tranquillamente arrivare fino a capire il tutto, all'ultima pagina. E allora va bene eccome.
"Io porto sventura alle città. [...] Per tutta la mia vita, non appena mi avvicinavo a una città, essa veniva distrutta". Già, è proprio un bel problema per Baudolino, soprattutto perché sembrava avesse lo strano potere - con fantasia e immaginazione - di anticiparle, quelle distruzioni. Arcane preveggenze e misteriose magie, o era solo uno che portava sfiga? Arrivata o, per meglio dire, ritornata ad Eco inseguendo il Prete Giovanni o Gianni che dir si voglia (leggendario re-sacerdote menzionato ne "Il milione" di Marco Polo) il cui nome, in quel contesto, mi aveva fatto anche un po' ridere, mi trovo a ribadire che Eco è, per me, fra i più grandi affabulatori la cui abilità narrativa mi incanta sempre. Questo vale praticamente per qualunque storia lui racconti; un po' come Baricco. E allora via; un altro viaggio esotico medioevale, romanzato, storico, fantastico e giallo nelle giuste proporzioni dal finale perfetto. Il racconto - in cui Eco raccoglie magnificamente l'eredità di Marco Polo ricalcandone analogie, ritmo e suggestioni nell'incedere avventuroso della narrazione -, è fluido, appassionante, accattivante, ironico e - quanto a viaggi e creature fantastiche -, degno del miglior Tolkien. Tutto ciò che c'è di immaginato - ed è parecchio - è reso talmente bene che ti pare di toccare con mano questo genio creativo quasi acquistasse una propria consistenza fisica. E questo è quello che succede quando l'erudizione è messa al servizio dell'ingegno.
Umberto Eco è Umberto Eco. Punto
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"Erano ormai dieci anni che Baudolino stava a Parigi, aveva letto tutto quello che si poteva leggere, aveva imparato il greco da una prostituta bizantina, aveva scritto poesie e lettere amorose che sarebbero state attribuite ad altri, aveva praticamente costruito un regno che ormai nessuno conosceva meglio di lui e dei suoi amici, ma non aveva terminato gli studi."
Una certa emozione accompagna la lettura di un nuovo romanzo di Eco: un autore così, un intellettuale così, potrà dirci verità nuove, potrà aprire dibattiti culturali, darà alla letteratura italiana un nuovo impulso internazionale, creerà ammirazione in tutta l'intellettualità mondiale...
Ed è infatti questo che è avvenuto col primo romanzo, Il nome della rosa: un successo che ha sconvolto le classifiche di tutta Europa, che ha goduto di innumerevoli traduzioni, che ancora oggi possiamo trovare nelle librerie degli stati più lontani dell'Asia e delle Americhe, che viene studiato nelle Università di mezzo mondo e citato anche da chi non lo ha mai letto. Dopo quella prima prova narrativa sono venuti altri romanzi, meno accessibili, forse meno felici, di certo rivolti a un pubblico di lettori più selezionato. E infine ecco Baudolino che, in libreria da pochi giorni, ha già goduto del giudizio entusiastico di autorevoli e qualificati critici, da Maria Corti a Giovanni Pacchiano.
Un romanzo picaresco, che ripercorre le vicende del suo protagonista, Baudolino, per circa sessant'anni, giocato su due piani narrativi: un cronachista presenta la storia e crea le connessioni logico temporali, Baudolino stesso, in dialogo con Niceta, commenta e spiega le avventure da lui vissute da quando aveva tredici anni alla vecchiaia.
I quaranta capitoli, secondo l'uso medioevale, sono intitolati con la sintesi di ciò che verrà descritto e iniziano sempre con il nome del protagonista. Nel primo capitolo viene utilizzato un linguaggio che giocosamente unisce (e corregge) parole o costrutti di più lingue (considerando che quei primi secoli del millennio sono stati un periodo di grande evoluzione linguistica), sia geograficamente parlando, sia temporalmente: il latino, il latino medioevale, il volgare genovese e quello piemontese. Quindi si prosegue nei successivi capitoli con un lingua più accessibile in cui permangono alcuni termini medioevali, altri che evocano il dialetto di Alessandria e la frequente costruzione di immagini o di concezioni che traggono vita dalla ricchissima tradizione sia dotta che popolare (le cronache, i bestiari, le rappresentazioni sacre, i cantari, la tradizione giullaresca e cavalleresca) del XII secolo. Tutto ciò non deve minimamente far pensare ad un libro "di erudizione", se si utilizza il temine per dire, con facile eufemismo, noioso e leggibile da pochi: Baudolino è un romanzo divertentissimo, il personaggio è di una simpatia assoluta, il racconto raggiunge talvolta note di vera comicità e non perde mai in brillantezza, né si verificano cadute di pedantesca dottrina o di esibita conoscenza. Quando il racconto viene fatto dal protagonista, la presenza di un interlocutore, Niceta, che funge da sapiente spalla, rende vivace il dialogo e soprattutto esplicita l'esigenza di qualsiasi narratore di avere un pubblico di riferimento a cui rivolgersi per fissare e calibrare la storia. In tanti momenti del romanzo l'identificazione con l'autore è evidente (così come è già stato fatto notare), ma è soprattutto chiaro l'intento di vedere in Baudolino "il narratore" per eccellenza, cioè colui che, usando l'immaginazione, sa costruire mondi reali tanto quanto quelli che cadono sotto i nostri sensi, mondi a cui è giusto credere, perché la distinzione tra verità e menzogna, quando è la fantasia ad agire, è davvero un criterio scorretto.
Dirà Baudolino: "...mi stavo giocando il sogno di una vita, ovvero la vita stessa, visto che la mia vita era costruita intorno a quel sogno." E la vita, soprattutto quella di uno scrittore (ma anche di tanti lettori), è in gran parte costruita sul sogno, cioè sull'immaginazione, sulla capacità creativa. E forse per quello capiterà che il protagonista, ormai anziano, arriverà dire: "Hai visto. L'unica volta in vita mia che ho detto la verità e solo la verità, mi hanno lapidato", perché da lui ci si aspetta proprio il sogno, la fantasia. Ma questa non dovrà nascere dal facile desiderio di compiacere il proprio pubblico (grande lezione rivolta ai moderni fabbricanti di best seller!) perché "la preoccupazione di compiacere gli uomini fa perdere ogni floridezza spirituale" e a questa floridezza, freschezza, genialità e giovinezza intellettuale (grazie forse all'amore per il viaggiare, come fa dire al suo personaggio) Eco non viene certo meno. Giocando con i generi - come non pensare a un topos del giallo per la misteriosa morte di Federico Barbarossa? - con le parole e la fantasia (il viaggio di Baudolino alla ricerca del Prete Gianni fa pensare spesso all'Ariosto), mescolando macrostoria e microstorie, puntando al divertimento e all'immediatezza (pare che il libro sia stato scritto in sei mesi e con grande divertimento del suo autore stesso) il maggior intellettuale italiano regala al suo vasto ed eterogeneo pubblico un vero gioiello.
A cura di Wuz.it
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