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«Come è possibile che nella storia della letteratura francese Benjamin Constant non occupi il posto che gli converrebbe? Non è forse il primo grande pensatore della democrazia liberale?». Il profilo di Benjamin Constant (1767-1830) delineato da Tzvetan Todorov parte dalla polemica rivendicazione della grandezza dell’uomo politico e letterato francese, che è da ricollocare tra i giganti del suo tempo, alla stregua di Stendhal e Hugo. L’intento dichiarato di Todorov è quello di abbracciare con uno sguardo unitario la complessa attività politica, filosofica e letteraria di Constant per restituire il senso di un progetto globale. Vengono così esaminati tanto gli scritti politici quanto quelli di argomento religioso, il suo romanzo, l’Adolphe, e infine i testi autobiografici. Se dai primi emerge il teorico del liberalismo, dai secondi è possibile ricavare la sua concezione della vita interiore della coscienza umana. Todorov legge l’opera di Constant pensatore politico come una sintesi e una trasformazione di due riflessioni tra le più profonde del XVIII secolo in Francia, quella di Rousseau e quella di Montesquieu. La lezione di Rousseau sta nell’affermazione secondo cui il potere deve essere il frutto dell’espressione della volontà generale e il migliore regime politico è quello democratico. Ma nello stesso tempo si impone alla concezione rousseauiana una limitazione che bene ha descritto Montesquieu: il potere non deve essere illimitato. La sovranità non è totale se non entro limiti ben precisi, di là dei quali inizia la sfera privata dell’individuo. La protezione della sfera privata si pone quindi non solo come il contraltare, ma come il vero compimento della teoria politica del liberalismo.
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