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Dopo aver preso atto del congedo della Germania dalla sua tentazione a percorrere una via speciale, in quest'ultimo suo densissimo studio, Rusconi si spinge oltre e problematizza gli esiti di questo pluridecennale processo. A suo parere, infatti, la riconciliazione con l'Occidente avrebbe sì comportato la normalizzazione della Germania, ma anche la sua "sgermanizzazione", ossia lo smarrimento di ogni tratto peculiare della sua identità. Questo smarrimento, da cui l'oscillare tra l'affermazione della propria identità postnazionale e il sempre più frequente appello a un nuovo slancio nazionale, è solo una delle espressioni, e ha reso a sua volta necessario uno sforzo di "reinvenzione". È dalla denuncia di questo controverso esito che Rusconi intraprende la sua riflessione sui processi di ricomposizione della memoria che, a partire dalla riconfigurazione stessa del paesaggio urbano di Berlino, coinvolgono il tema della riunificazione e il tema, sempre presente ma variamente declinato, della colpa. Passando in rassegna le principali manifestazioni culturali degli ultimi anni, Rusconi mette in luce l'ambiguità della situazione attuale, che si traduce nella presenza di una competizione tra narrazioni contrapposte, anzitutto tra memoria della Shoah e memoria delle vittime tedesche, con il rischio della relativizzazione e della difficoltà a conseguire una riconciliazione con il passato. A suo parere, la Germania sembra restare prigioniera di un'"anomala normalità". Di ciò le responsabilità maggiori ricadrebbero sulla sua "classe interpretante", cioè sia sugli intellettuali della ex Ddr, sia su quelli della nuova Berliner Republik, gli uni rimasti estranei alla rivoluzione del 1989, gli altri incapaci di definire una nuova identità comune.
Federico Trocini
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