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Esce il primo volume (1922-1965) di una Bibliografia gramsciana ragionata. Il lavoro, che include i soli titoli in lingua italiana, prevede per ciascuno di loro un record disposto per anno secondo un ordine che distingue venti tipologie diverse di schede (dalle monografie sino agli articoli giornalistici) e che consente, attraverso indici incrociati (degli autori e dei nomi, oltre a un regesto delle testate periodiche) di rintracciare rapidamente qualunque titolo, avendo al contempo un quadro dei vari generi di pubblicazioni per ogni singolo anno.
Come premette Angelo d'Orsi, il modello a cui si è guardato è la Bibliografia campanelliana di Luigi Firpo, con l'obiettivo di fornire uno strumento scientificamente rigoroso, utile non solo agli specialisti. Attraverso il "lavoro oscuro" di ricerca dei titoli (confrontandosi con le bibliografie esistenti ed escludendo quelli "considerati irrilevanti", perché la presenza di Gramsci vi appare "puramente nominalistica"), della lettura e della schedatura, l'équipe impegnata in quest'opera (undici redattori, sotto la direzione del curatore) è pervenuta in effetti a un risultato prezioso.
Il pregio principale di questa Bibliografia sta nelle caratteristiche e nell'agevole utilizzabilità delle schede, che risultano evidenti a una rapida scorsa delle più di 350 pagine del primo volume. Le schede, impostate in chiave descrittiva piuttosto che valutativa, presentano una notevole omogeneità e forniscono una descrizione del contenuto di ciascun titolo che, per quanto sintetica ed essenziale, è sufficiente a orientare e a informare non superficialmente il lettore. In tal modo, la lettura della Bibliografia può rendere conto sia degli sviluppi degli studi e del dibattito, sia dei periodi in cui essi conobbero una maggiore o minore intensità, sia dei motivi e delle occasioni che determinarono tali alternanze. L'utilità dello strumento è quindi evidente, in quanto esso permette al fruitore non solo di orientarsi con relativa rapidità, ma anche, già a un primo approccio, "di sceverare come auspica d'Orsi il grano dal loglio", con conseguente risparmio di tempo e di energie.
Risultano così con chiarezza, da un lato, le tendenze evolutive di fondo della bibliografia su Gramsci, dall'altro alcuni momenti che manifestano, in concomitanza con determinate contingenze storiche o culturali, dei picchi di intensità particolare nell'interesse per la sua figura.
In generale, nel periodo 1922-1965 si nota come l'orizzonte degli interventi e degli studi sia essenzialmente interno alla politica e alla cultura italiane, mentre solo verso il termine del periodo iniziano a comparire segni di interesse non occasionale anche oltre frontiera. Sino alla fine della guerra, inoltre, dai titoli emerge una discussione che mantiene i caratteri di una questione sostanzialmente interna al movimento operaio e all'antifascismo. Un netto salto di qualità si verifica con il 1947, l'anno di pubblicazione delle Lettere dal carcere, cui fu tra l'altro assegnato, non senza qualche scia polemica, il prestigioso premio Viareggio. Il 1947, il 1957, il 1958 e il 1965 sono gli anni in cui compaiono un numero di titoli e di pagine nettamente maggiore. Il primo di essi, per l'importante evento editoriale che lo segnò, rappresenta anche il momento in cui l'interesse per Gramsci uscì dall'ambito in cui era confinato sino ad allora, per coinvolgere repentinamente l'intera cultura politica italiana e l'attenzione dei quotidiani e dei rotocalchi. Il 1947 fu anche l'anno in cui, a partire dalla recensione favorevole di Croce, fu rivendicata da laici e cattolici l'appartenenza di Gramsci, testimone dell'esperienza del carcere e dell'antifascismo dotato di un'umanità e di una sensibilità sincere e profonde, al patrimonio comune di tutti gli schieramenti, al di là del movimento comunista. Si trattava, per un verso, del suo ingresso nell'empireo dei grandi della cultura e della letteratura italiane, per l'altro del tentativo di opporsi al progetto di Togliatti, già evidente sin dagli anni trenta e poi sempre perseguito pervicacemente, attraverso il susseguirsi delle congiunture politiche e con un rilevante e talora spregiudicato impegno teorico, di fare di Gramsci il cardine della tradizione del comunismo italiano.
Ciascuno degli anni successivi, tra il 1948 e il 1951, vide un numero di interventi cospicuo, ma nettamente inferiore al 1947. Era il periodo della prima pubblicazione dei Quaderni, che ebbero un'accoglienza vasta e attenta, ma nell'insieme, a partire dallo stesso Croce, più variegata e meno generalmente favorevole delle Lettere. Gramsci tornava ad apparire soprattutto un politico militante e un comunista, e la sua annessione a un patrimonio comune divenne assai più controversa, benché non mancassero alcune aperture di interesse (come quella, per esempio, dell'allora giovane Baget Bozzo, attento alle novità storiografiche e teoriche dei Quaderni).
Gli anni seguenti, nel clima del centrismo, furono caratterizzati da un significativo decremento degli interventi, che ripresero invece vigorosamente per numero e intensità tra il 1957 e il 1958, sulla scia della destalinizzazione e del convegno gramsciano tenutosi a Roma nel gennaio 1958, con il rinnovato impegno togliattiano di collocare un Gramsci leninista al riparo della tempesta sovietica e in concomitanza con un clima politico che in Italia si avviava faticosamente a mutare.
Un nuovo incremento dei titoli si ebbe alla metà degli anni sessanta, quando, accanto a più attente e approfondite monografie (come quella biografica di Salvatore Francesco Romano, o quella del cattolico "conciliare" Ruggero Orfei), iniziò a manifestarsi l'interesse contraddittorio della nuova sinistra, spesso non riconducibile al Partito comunista. Testimoniato più volte già in passato da Raniero Panzieri, esso trovò nel 1965 un'espressione assai critica in Scrittori e popolo di Alberto Asor Rosa.
Al termine di queste considerazioni sulla Bibliografia, ampiamente e pressoché incondizionatamente positive, non si può non avanzare un interrogativo. I termini a quo e ad quem dell'opera, che prevede entro tre anni altri due volumi (1966-1987 e 1988-2007), configurano un percorso ambizioso e cronologicamente completo. Il primo volume, come si è detto, riflette un panorama di studi e di interventi che era in effetti essenzialmente italiano, e appare pertanto piuttosto esaustivo. Dalla seconda metà degli anni sessanta si delinea un orizzonte assai più vario e articolato, che si differenzia progressivamente, e poi sempre più nettamente (accentuandosi dopo la crisi del comunismo italiano e internazionale e del socialismo cosiddetto reale), dal dibattito nazionale. Gramsci diviene oggetto di interesse, da ottiche diverse, di studiosi politologi, storici e filosofi di aree diverse, con una peculiare attenzione in certi anni, per esempio, da parte di alcuni paesi dell'America Latina o in via di sviluppo. È legittimo chiedersi quale significato assumeranno, rispetto al primo, i successivi volumi, anch'essi limitati programmaticamente ai titoli italiani. Tenendo conto che la bibliografia curata dalla Fondazione Gramsci include oggi, come ricorda d'Orsi, più di 17.000 record, di cui solo circa 8.000 in lingua italiana. E che la metà degli anni sessanta costituisce, da questo punto di vista, uno spartiacque.
Gian Carlo Jocteau
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