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Il titolo è di quelli che fanno sobbalzare, ma l'idea dei due autori non è stata affatto peregrina. La loro è una piccola provocazione contro una storiografia impettita, tutta incentrata sui dibattiti di alta politica e sulla circolazione delle idee. Questo trabiccolo a due ruote ha incontrato fin dai mesi della repressione di Bava Beccaris una netta ostilità, a causa dell'uso sfuggente, e magari sovversivo, che se ne poteva fare. Un bando dell'aprile 1944 obbligava, a Bologna, a portare, entro il perimetro della città, "la bicicletta a mano con le gomme delle ruote sgonfie o con la catena staccata dalla moltiplica e dal rocchetto". Se si scorrono le testimonianze raccolte, si capiscono le ragioni di tanti sospetti. Bartali, ad esempio, infilava all'interno della bicicletta documenti e fotografie utili per falsificare i lasciapassare da predisporre in aiuto degli ebrei nascosti in qualche convento e non per allenarsi percorreva le strade polverose fra la Toscana e l'Umbria. Gillo Pontecorvo scorrazzava su due ruote per annodare i fili della cospirazione: a Pisa, nel corso di una missione, incontra "un giovanissimo professore alla Normale molto in gamba", il liberalsocialista Alessandro Natta. Tiziana Bonazzola rammenta quanto la bicicletta le fu di aiuto: un "mezzo mirabile". Ladri di biciclette, il capolavoro di Vittorio De Sica, avrebbe conferito un significato simbolico a quel mezzo umile, che chiedeva sacrificio ma ricompensava senza pretendere troppo di manutenzione. E quante sono le donne, le staffette partigiane, che la cavalcano alla riconquista di una libertà sperimentata anche come facile movimento individuale! Stellina Vecchio detta Lalla è sorpresa da una sparatoria quando, il 24 aprile 1945, sta dirigendosi in bicicletta a una riunione indetta a Niguarda. E riesce a cavarsela, accelerando alla cieca.
Roberto Barzanti
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