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Pur non essendo un fan accanito del "boss", leggo sempre molto volentieri biografie ed autobiografie di pilastri della musica anni 80 e 90. Il libro è scritto molto bene e con un linguaggio scorrevole che permette una lettura sia tutta d'un fiato che con molto pause, come appunto sto facendo io. A mio avviso ho trovato molto dettagliata la parte relativa all'infanzia a discapito di una spiegazione politica e sociale veramente convincente del cavallo di battaglia di Bruce Springsteen ovvero "Born in the USA". Dallo stesso cantante sono scritte molto bene le parti narranti la sua gavetta nelle balere, le sue tribolazioni famigliari e il suo iniziale rapporto atipico verso i suoi figli. Libro ovviamente consigliato ai suoi fan.
Io sono un fan di Bruce Springsteen e per questo ho amato moltissimo questo libro!
The Boss, che altro dire? Un gran bel libro davvero, lo consiglio vivamente a tutti i fans.
Recensioni
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Bruce Springsteen scrive la sua storia, aprendo il suo cuore ai fan e raccontando anche le cose meno facili da raccontare, come la lotta contro la depressione che lo accompagna ormai da anni. Ma come ogni grande storia, quella di Springsteen è fatta di tanti personaggi, un po’ come alcune delle sue canzoni più belle. Ecco i dieci personaggi (reali) che hanno scritto assieme a lui questo grande romanzo americano.
1 DOUGLAS SPRINGSTEEN
Il padre di Bruce, origini irlandesi, “sei birre scolate una via l’altra nel buio pesto della cucina”, tutte le sere. Un giorno prova a insegnare un po’ di boxe al figlio ragazzino. “Ero emozionato, lusingato dalle sue attenzioni e ansioso di imparare. Le cose andavano bene finché lui non mi assestò sul volto qualche colpo a mano aperta appena troppo vigoroso. Non mi fece male, però mi offese: avevamo superato un limite. Eravamo entrati in un territorio oscuro che trascendeva il rapporto padre-figlio. Mi stava dicendo che ero un intruso, uno sconosciuto, un rivale in casa e una cocente delusione. Mi si spezzò il cuore. Quando mi guardava, non era soddisfatto di ciò che vedeva. Era questa la mia colpa.” Freud avrebbe avuto qualcosa da dire, in ogni caso il rapporto padre-figlio sarà di odio-amore fino alla morte di Douglas.
2 ADELE ZERILLI
Decisamente migliore il rapporto con la madre, origini italiane, “mai che perda un giorno di lavoro, si ammali, sia giù di corda o si lamenti.” Se il padre è l’ansia, la madre è la serenità. “Una porta cigola, il rubinetto viene aperto, la trousse sul lavabo, poi, all’ultimo minuto, un fruscio di indumenti di fronte allo specchio. Sono i rumori con cui mi sveglio ogni mattina della mia adolescenza. Per un ragazzo sono i rassicuranti suoni del mistero e del rito. Li sento ancora oggi.” Qualcosa che somiglia al paradiso, per un ragazzino del New Jersey, almeno.
3 MIKE APPEL
Il primo manager, dolorosamente scaricato alla vigilia del grande successo in favore di John Landau, tuttora saldamente in sella. Alla base del divorzio, un contratto firmato incautamente da un musicista sconosciuto che sarebbe diventato uno dei più famosi del mondo. “Come Elvis e il Colonnello Parker, il modello societario a cui si ispirava Mike, avremmo diviso tutto a metà. Il problema era che le spese avrebbero finito per ricadere interamente su di me. Una formula irrealistica e controproducente, destinata a fare un sacco di danni, ma chi ero io per lamentarmi? Pur di fare il primo passo avrei firmato anche le mutande di Mike.” Non fu necessario, ma anche un normale contratto provocò discreti grattacapi al giovane Springsteen.
4 JOHN LANDAU
Il fan che diventa produttore, manager e molto di più, “l’ultimo di una lunga serie di fan, amici e fricchettoni che si ritrovavano ad assumere il ruolo di figura paterna. Insieme a mia moglie Patti, alla band e a pochi amici intimi, la persona con la quale mi sono confidato più volte nella vita.” E con la quale il rapporto economico è chiaro e proficuo per entrambi, il che non guasta.
5 JOHN HAMMOND
New York, Columbia Records, Bruce ottiene un’audizione con uno dei discografici più potenti del mondo, quello che ha scoperto Bob Dylan, tanto per dire. E che fa Mike Appel? “Precisa che mi aveva portato da lui per appurare se la scoperta di Dylan fosse stata un caso fortunato o se avesse orecchio sul serio.” Bruce suona Saint In The City e la risposta di Hammond (“La Columbia ti vuole”) è una pietra miliare di questa storia. “Una canzone… non ci volle altro.”
6 LITTLE STEVEN
L'amico di sempre e il chitarrista di quasi sempre, protagonista di un altro doloroso divorzio, stavolta non definitivo, consumatosi durante le registrazioni di Born In The Usa. “Steve aveva bisogno di godersi il meritatissimo status di frontman, di suonare e cantare le proprie canzoni. Avremmo potuto evitare che le cose andassero così. Avremmo potuto trovare una soluzione, ma non eravamo le stesse persone di oggi. Reclamò un ruolo maggiore nella nostra partnership creativa, ma io avevo posto limiti precisi all’interno del gruppo. Gli dissi che, per quanto ci stessimo separando ero ancora il suo migliore amico, eravamo ancora l’uno amico dell’altro, e speravo che a questo non avremmo mai rinunciato. Le mie speranze erano ben riposte.” Steve Van Zandt tornerà nella E-Street Band per non lasciarla più, almeno fino a oggi.
7 CLARENCE CLEMONS
L’icona della E-Street Band, scomparso cinque anni orsono dopo una vita da film. “Clarence sembrava uscito dal libro del rock. Se io ero l’incarnazione del sogno rock di John Landau, Clarence lo era del mio. Chi non lo conosce deve sapere che c’era una cosa che a Clarence importava più di tutte: Clarence. Non che fossimo particolarmente diversi da questo punto di vista, ma in lui questo fattore era moltiplicato all’ennesima potenza.” Oggi, durante i concerti, quando la sua immagine riempie gli schermi alle spalle della band, il pubblico grida e applaude come faceva durante i suoi assoli di sax.
8 DANNY FEDERICI
Come in tutte le grandi storie, anche in quella di Springsteen la morte ha lasciato il segno. Anche il tormentato tastierista non c’è più, ma doveva essere un tipo speciale. “Non sapeva le canzoni, la progressione degli accordi, l’arrangiamento, la tonalità e le parole, non sapeva cosa cazzo stavi cercando di dirgli, lui sapeva suonare e basta! Dietro l’organo era libero… ma solo dietro l’organo. Come tanti di noi, Danny faticava a cavarsela nel mondo che ci aspettava sotto i gradini del palco. Il mio compianto amico rimane un rompicapo di fragilità umana e di un’impareggiabile abilità musicale misteriosa e istintiva.” Non per nulla era soprannominato Il Fantasma.
9 MAX WEINBERG
Chiunque abbia assistito a un concerto di Bruce Springsteen si è senz’altro chiesto come faccia a non fermarsi mai. Nel suo libro, il capobanda racconta la loro straordinaria intesa. “La pressione fisica di tre ore filate di rock travolgente grava sulle sue spalle più che su quelle di chiunque altro. Lui percepisce i miei pensieri e le mie sensazioni, li anticipa prima ancora che arrivino alla pedana della batteria. Quel colpo di rullante, quello al quale sto pensando ma ancora mi brucia in un angolino della mente, quel colpo che desidero più di ogni altra cosa… eccolo!”. Chi non vorrebbe un batterista così?
10 PATTI SCIALFA
Dulcis in fundo, la seconda moglie, la madre dei tre figli di Bruce, dopo esserne stata “solo” la corista. Com’è iniziata? Alla fine di un giorno di prove, manco a dirlo. “Eravamo seduti a bere e chiacchierare e ben presto mi resi conto che c’era qualcosa nell’aria. Dopo diciassette anni di incontri casuali e due di stretta collaborazione – talvolta ai limiti del flirt – per la prima volta vidi in lei qualcosa di diverso e di nuovo. Se da un lato è una donna saggia e forte, dall’altro è il ritratto della fragilità. Fu quella combinazione a conquistarmi.” Poteva mancare l’amore in questo grande romanzo americano?
Recensione di Maurizio Zoja
In attesa di ricevere l’edizione italiana, ero andato a leggere qualche recensione dell’autobiografia di Bruce Springsteen sulla stampa internazionale. (…) Mi aveva incuriosito la conclusione dell’articolo sul “Guardian”, là dove si diceva che nel libro ci sarebbero molte meno automobili che nelle canzoni di Springsteen (…). Confesso che ero pronto a sfruttare il suggerimento del recensore, e a scrivere che nell’autobiografia c’è anche molta meno musica. Ma ho dovuto ricredermi (…) di musica nel libro ce n’è. Anzi, ce n’è tanta, molto di più che nella maggioranza dei libri “su” Springsteen. Perché un libro parli di musica non è né necessario che usi una terminologia accademicamente corretta: quando Springsteen dice che il suo bassista “suona come Bill Wyman degli Stones” i lettori capiscono perfettamente cosa vuol dire. Il libro di Springsteen è ricchissimo di musica: contiene resoconti di situazioni di ascolto, di esecuzione, di composizione, contiene osservazioni di natura organologica (tipi di strumenti, loro caratteristiche, rapporti fra strumento e tecniche di esecuzione), contiene riflessioni critiche su questioni, di genere, di stile, e sul rapporto fra testo e musica nelle canzoni, nonché accenni ad aspetti della storia della popular music.
Ci sono alcuni passaggi illuminanti, (…) sull’effetto della British Invasion (1964-65) sulla musica degli Stati Uniti. Springsteen racconta che prima dell’arrivo dei Beatles negli Usa c’erano per lo più gruppi vocali che si facevano accompagnare da musicisti professionisti, o gruppi strumentali che non cantavano, ma l’idea di un gruppo vocale e strumentale, che per di più componesse le proprie canzoni, era del tutto ignota. Questa e altre osservazioni chiariscono il debito di Springsteen con la musica inglese. Vi si aggiungono, naturalmente, molti riferimenti nordamericani: dal rock’ n’ roll degli anni cinquanta al rhythm and blues, al soul, e poi al country, al folk. E qui si arriva, condotti per mano dallo stesso Springsteen, alla questione critica principale che lo riguarda, quella dell’autenticità. Leggendo il dipanarsi iniziale della carriera del Boss, fino al successo già consolidato, ci si domanda dove mai trovi fondamento quell’immagine di rock “autentico” che lo ha sempre accompagnato: si legge che Springsteen con i musicisti insieme ai quali ha lavorato ha fatto veramente di tutto, suonando ballabili da un bar all’altro, arrivando perfino a un discreto successo con un gruppo, gli Steel Mill, che lo stesso autore definisce “prog-metal”. E quando arriva a proporsi alle case discografiche come cantautore, è perché in quel momento i cantautori “tirano”.
Niente sorprese o scandali, per carità. Anzi. Born To Run spiega efficacemente proprio l’anomalia di un cantautore “serio” che sapeva ballare, suonare la chitarra elettrica e infiammare una platea prima di registrare il primo disco.
Recensione di Franco Fabbri
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