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«È un monumento alla stupidità e siccome la stupidità è infinita e si declina in infiniti modi Flaubert non riuscì a completare il suo enciclopedico romanzo» - Paolo Mauri, Il Venerdì
«"Bouvard e Pécuchet", romanzo mirabile, famoso e di divertente lettura, di Gustave Flaubert, l'ultimo che ha scritto e che non ha terminato, anche se ha annotato come avrebbe dovuto concludersi; pubblicato nel 1881, un anno dopo la morte. I due copisti, il gioviale Bouvard e il segaligno Pécuchet, lasciato il modesto lavoro d'ufficio a Parigi, si insediano in campagna, dove per occupare il tempo si avventurano, da principianti inesperti ed eroicomici, in tutti i campi del sapere umano, con risultati ogni volta disastrosi e spassosi: agronomia, giardinaggio, arte delle conserve (ma tutto va a male e i barattoli scoppiano), chimica, medicina, geologia, teatro, politica, spiritismo, religione, pedagogia... in uno scivolamento di scienza in scienza, di mania in mania, sempre dissolto dalla loro ridicola incapacità. Eroi del fallimento perenne, prototipi della nostra umanità tutta scienza, progresso e stupidità. E finiranno come? A fare l'unica cosa che sanno fare, i copisti. Libro profondamente dissacratorio e satirico». (Ermanno Cavazzoni)Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Incontri Bouvard e Pécuchet, per caso, nell'afa parigino di corso Bourdon. Li osservi con curiosità prima, con un accenno di amichevole scherno poi (davanti alle loro buone intenzioni e alle loro ingenuità). Ma l'ironia, sagace, con cui Flaubert immortala i due finisce con illuminare il mondo intero con la medesima luce della prosaica Chavignolles. Allora ti soprende un privato rossore. Vedi i due amici e le loro effimere passioni sotto una nuova luce. Vedi te stesso sotto la stessa luce, e il rossore aumenta irrimediabilmente.
La morte, avvenuta nel 1880, impedì a Flaubert di terminare questo romanzo. Va sottolineato che "Bouvard e Pècuchet" è un romanzo incompiuto per ricordare che il lettore ha tra le mani solo un primo volume dell'opera che Flaubert intendeva scrivere, mentre del secondo volume resta una enorme congerie di appunti. Oggi, a Rouen sono custoditi circa 2500 fogli nei quali l'autore raccolse tutto il materiale che intendeva utilizzare nel corso della stesura del romanzo: una vera e propria enciclopedia del sapere che nelle intenzioni dei due protagonista dovrebbe costituire la fonte della verità assoluta, mentre si rivelerà come un pozzo inesauribile di contraddizioni e frustrazioni. La storia, come è noto, è quella di due copisti che, grazie all'eredità ricevuta da uno di loro, si ritirano in campagna per darsi allo studio di tutti i campi dello scibile e a fallimentari tentativi di sperimentare alcune teorie. Alla fine, travolti dall'impresa smisurata, ritornano all'attività di copisti. Questa nuova edizione del libro, efficacemente tradotto da Gina Martini e accompagnato da una acuta postfazione di Ermanno Cavazzoni, offre di nuovo ai lettori l'opportunità di attraversare un testo spesso incompreso del quale si nota soprattutto la facciata parodistica. Dietro, in realtà, c'è tutta la tensione di Flaubert, anche lui un po' Bouvard e Pècuchet di ben altra statura, che va alla ricerca di certezze inamovibili. O forse è già sicuro che quelle certezze non esistano e perciò costruisce nel vuoto d'intelligenza dei due protagonisti una rete di illusioni, di luoghi comuni e di sciocchezze. Allora, come unica certezza, non resta che la scrittura, cioè l'azione che può rappresentare il mondo e le sue crepe, anche se non può dargli la razionalità che ogni uomo vorrebbe. Della stupidità Flaubert ha disegnato un archetipo potente. Dopo di lui essa è diventata un tema filosofico sul quale molti si sono esercitati nel tentativo di capirne il significato e le manifestazioni.
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