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scheda di Bardi, M., L'Indice 1997, n. 4
Per questo scrittore parmense, autore del "Profumo dei tigli", di "Chiudere gli occhi" e di più di un libro di versi (da qualche anno raccolti nel volume "Non si ricordano più", pubblicato da Guanda) si sono davvero sprecati i tentativi di una definizione da manuale scolastico: Gian Carlo Conti non è tuttavia, come voleva Pasolini, "un manierista bertolucciano-bassaniano" ("Troppa grazia" commentava autoironico lo scrittore), ma forse piuttosto un neorealista in grado di attingere, come suggerisce Cusatelli nell'introduzione, a una sua "privatissima classicità". È vero comunque che, come risulta dalla lettura del romanzo "I briganti neri", rimasto finora inedito, sullo sfondo della normalità borghese che costituisce la marca del racconto autobiografico di Conti prendono risalto gli avvenimenti e le emozioni che l'autore vorrebbe osservare con occhi asciutti e neutri. La memoria, puntuale e spietata, ripropone giornata dopo giornata gli eventi fondamentali dell'infanzia e dell'adolescenza, determinate dall'appartenenza sociale e minacciate dal disastro della guerra. L'esattezza d'anatomista e la negazione all'autoindulgenza sono messe alla prova soprattutto nelle pagine dedicate all'eros, in cui sembra condensarsi il senso dell'intero racconto di formazione. È questo il nodo intorno a cui si organizzano le minute ricognizioni nella città di Parma (l'accumulo di toponimi finisce paradossalmente per ottenere un effetto di astrattezza) e l'intreccio accuratamente ricostruito dei rapporti con gli amici e i familiari. Lo scavo nella storia quotidiana è talmente avvolgente da annullare il senso d'incompiutezza e d'irrisolto che l'autore doveva sentire ben vivo quando, poco dopo i quarant'anni, il suo lavoro venne rallentato dall'insorgere di una terribile malattia progressiva. Uno stralcio dell'opera uscì su "Palatina" nel '66.
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