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Anno edizione: 2018
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Ammiro la Morante come attrice (meno come regista) ma come scrittrice mi ha proprio deluso. Ha la padronanza della lingua e anche un certo stile ricercato, ma questi racconti (per non parlare degli insulsi Interludi) sono davvero poca cosa, senza trama, senza senso a volte. Peccato.
Al di là delle valutazioni iperboliche dei recensori da testata giornalistica, ciò che resta è un libro inconcludente senza un progetto che dia una struttura consistente ai singoli racconti. Alcuni di questi terminano in modo brusco al punto da far pensare al lettore che l’autrice non avesse alcuna idea di come gestire lo sviluppo della (ipotetica) trama. Ho letto i mesi scorsi i racconti di Gogol e successivamente di Palazzeschi. Forse i critici dei giornali avrebbero bisogno di rileggerli per ricordare a se stessi come un libro andrebbe scritto.
C’è la poesia ermetica, informale. Che non è soltanto senza regole, ma è senza un contenuto significativo univoco. Come certa pittura e scultura contemporanee che non hanno figure identificabili, ma solo macchie o forme arbitrarie, che sono tali per l’autore e per chi le vede e conclude con un “Boòh!”. Laura Morante ha fatto la stessa operazione con la narrativa. Ha scritto racconti strani, inconcludenti, problematici. Ermetici appunto. Non c’è dubbio che lei abbia una ottima padronanza della lingua scritta e la sappia usare per creare effetti sorprendenti e suggestivi, ma alla fine vien voglia di chiederle: “Laura, che vuoi dire? Il tuo pensare è così contorto e inconcludente come i tuoi racconti? Qualche volta prova a scrivere ‘come magni’... O non sarà mica che ‘magni’ e vivi come scrivi?”
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