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«Non è la destinazione che rivela chi siamo, ma il coraggio di lasciare la mappa per ascoltare la bussola interiore». Con questa riflessione — che racchiude bene l’essenza di un viaggio che è insieme fisico e spirituale — si apre la lettura di La bussola oltre la mappa di Simone Capodicasa (Echos Edizioni, 2025). Il libro si presenta come un doppio racconto: da un lato l’imprevisto — un incidente che stravolge la vita del protagonista — dall’altro la reazione, incarnata in un viaggio in bicicletta attraverso i Balcani (Croazia, Bosnia, Montenegro, Albania, Grecia). La trama diverge in capitoli alterni: nei dispari si segue il viaggio in bici, nei capitoli pari la cronaca dell’incidente e di una consapevolezza che mano a mano emerge. L’autore affida dunque alla metafora del cammino — la bicicletta, le strade sconosciute, la fatica del pedalare — la similitudine di una rinascita: affrontare il dolore, tagliare con il passato, reinventarsi, e a tal proposito il famoso adesivo degli anni ottanta con rappresentato Il Vagabondo potrebbe arrivare, durante la lettura, nella mente del lettore, se come me, ha avuto la fortuna di vivere gli anni ‘90. Il libro è, prima di tutto, secondo il mio punto di vista, una riflessione sul sé: il viaggio non è soltanto geografico ma interiore. Il mezzo – la bicicletta – diventa simbolo di libertà conquistata, di autonomia, un divenire nel mondo di Uomo, mentre l’incidente, fa da spartiacque: quell’evento traumatico obbliga il protagonista a fermarsi, valutare, ripensarsi. In tale contesto la “mappa” può rappresentare i piani predefiniti, le aspettative, i sentieri già battuti; la “bussola” è l’intuizione, l’istinto, l’orientamento che scaturisce da dentro, in risposta all’inaspettato. In questo senso, la narrazione risuona con chi è in una fase di cambiamento o desidera prendere in mano la propria vita reinventando traiettorie e coordinate. Un libro assolutamente da leggere.
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