La rosa è ben nutrita (quaranta elementi) e di tutto rispetto: ci sono veterani (Michele Mari, Eraldo Affinati, Marco Lodoli), esperti (Giuseppe Culicchia, Mario Desiati, Gian Luca Favetto), garanzie (Francesco Abate, Christian Frascella, Fabio Geda), giovani promesse (Paolo Piccirillo), outsider (Francesco Bianconi dei Baustelle), tutti al servizio del mister Carlo D'Amicis. La squadra, però, non vince né convince; ma sia chiaro: sa difendersi benissimo. È che ci sono troppe prestazioni da 6 in pagella. Ci si limita a fare il compitino, ma niente di più. Non mancano i 5 e i 5,5: troppi leziosismi, si eccede nel dribbling, e, per carità, si intravedono anche delle belle giocate, ma alla fine, ed è questo che importa, nessuna conclusione degna di nota. Non si può dare la colpa né ai giocatori, né al mister: è la partita che è complicata. Raccontare il campionato di serie A 2011-2012 come se fosse un romanzo, come ci fosse una storia, non è un'impresa facile; e l'ultimo torneo, dominato dalla Juventus (a parte una breve parentesi rossonera), Juventus che tra l'altro ne è uscita imbattuta, non sembra essere il più adatto. Ogni autore si prende in carico una giornata e la racconta a modo suo: cronache, diari, reportage, digressioni, racconti. Una raccolta nel complesso molto variegata (più che "un grande prato verde" verrebbe da dire "quaranta sfumature di verde"), anche se non tutti i brani sono riusciti, e spesso non viene nascosta, da parte degli autori stessi, una certa difficoltà nel trattare il tema (ricorre infatti qualche "L'editore Manni mi ha chiesto di
"). Le intenzioni, però, sono più che buone: tracciare "una mappa per decifrare la presenza del pallone nelle nostre vite". E cosa ne emerge? Un po' di insofferenza, per esempio. "Il calcio non mi piace", ripete Fabio Genovesi, come un mantra per tenere lontano da sé uno spettro con il quale non vuole aver niente a che fare; o Nicola Lagioia, che parla di "morte del calcio come sport", e della sua rinascita come "porno deluxe nelle pay tv". E c'è anche parecchia nostalgia. "Quant'era bello il calcio di una volta", conclude Christian Frascella, e non è il solo. Viene da chiedersi, allora, se e quanto questo calcio parli ancora di noi, dell'Italia intera, oppure se ciò di cui parla ci riguarda ancora. D'Amicis, nella sua introduzione, esordisce citando Pasolini: "Se il calcio, come scriveva Pasolini, è (ancora) l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, il campionato è la sua liturgia". Avete notato il "se" e l'"ancora"? Già, il problema è proprio questo. Forse è rimasto soltanto il rito, e poco altro. Marco Lazzarotto
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