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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2014
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Una stella perché la Gualtieri, pur essendo una fine dicitrice, ha l'abitudine di utilizzare e riassemblare versi e immagini altrui. Chi è abituato, per amore, a leggere tanta vera poesia, non può non accorgersi di questo modus operandi. Talvolta è imbarazzante, quasi dispiace la Gualtieri scenda così in basso. Non c'è niente di male a subire l'influenza dei precursori, ma quando è troppo netta e aderente, e sistematica, bisognerebbe perlomeno dichiararlo, e senza ambiguità. La poesia della Gualtieri è interessante come fenomeno negativo perché mette in risalto cosa ci sia di obliquo nella poesia che attualmente va per la maggiore nel nostro deturpato Paese.. Generalmente chi legge e apprezza molto Gualtieri, legge poco altro, o è animato, a sua volta, dalla velleità di diventare un poeta. Eppure la poesia è per sua natura sovversiva e si oppone a qualsiasi appiccicoso infingimento, non stringe l'occhio al lettore, non si piega a diventare un oggetto di consumo. Sembra una poesia mossa dalla stessa ansia additiva che pervade i social. Cosa rimarrà alla fine di tutto ciò? Un verso ottimizzato per un audience, non illuminato dalla visione. È questa forse una delle derive peggiori di cui parlava Debord nel suo profetico 'La società dello spettacolo'. Consigli di lettura : Caino di Antonella Lumini, il dramma del buio e della luce, La Petite Plaisance.
Fulminante! Le parole piane e semplici del quotidiano per dire con crudezza e dolcezza, con disperazione e misericordia della nostra humanitas.
Mariangela Gualtieri è una delle voci più alte della poesia contemporanea: donna di teatro ("quel luogo pieno di avventura mistero arte e fatica...") si cimenta in questo testo con la rappresentazione scenica della prima, tragica violenza della storia umana: l'uccisione di Abele da parte di suo fratello Caino. E lo fa con tutta la passione e l'empatia di chi riconosce in sé e nell'animo di tutti noi l'abbaglio improvviso dell'odio, della rabbia e dell'invidia, e poi l'assillo perenne del pentimento, della paura, della condanna. "Ci somiglia talmente Caino..Noi siamo soli quanto lui, distruggiamo la vita fuori e dentro di noi, siamo ormai senza un'idea di prossimo.. tutti votati alla terrestreità". Ma in realtà in questo dramma non parla solo la brutalità della carne assassina, del raptus sopraffattore: intorno al protagonista si muovono tanti altri personaggi, che incarnano sia il male sia il bene, alter ego o controcanto dell'omicida. "L'alato", ad esempio, voce saggia e profetica, ingenua e visionaria; oppure "L'illusionista", lucido, protervo, rancoroso; "Abele", delicato e sorridente, "dentro una legge di pace". E il coro, che commenta cangiante e ritmico, suggerisce una sua visione filosofica del mondo, accompagna danzando le voci degli attori principali. Ma su tutto aleggia poi lo spirito dell' "animale chiamato Dio", bellissimo luminoso infinito, oppure astioso ingiusto violento ("Tu comandi. Rintroni allaghi, secchi, stendi al suolo,/ schiacci non perdoni"). Un testo forte, dunque, questo, scandito con parole dure e mai ambivalenti o falsamente prudenti: certo la sua resa scenica deve avere un rilievo che ovviamente la semplice lettura non rende del tutto nelle sue potenzialità, fatte anche di "movimenti ritmici e sonori..scatti e danze..", e silenzi, e pause, che invitano alla riflessione, alla condivisione di sentimenti, alla pietà.
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