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troppo ambizioso, la lingua non tiene.
A me sembra alta letteratura. Una prosa impegnata senza essere dotta. Una trama interessante e impegnativa senza essere noiosa. Due figure di donna originali e intense.
NON E'VERO JENNY, SI LEGGE BEN DI PEGGIO,E LA MAZZUCCO SA IL FATTO SUO!
Recensioni
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recensione di Pent, S., L'Indice 1998, n. 7
Tutto si può dire, meno che Melania Mazzucco sia orfana di ambizioni. In tempi di narrativa veloce, giovane anche in termini minimalisti d'intenti e risultati - ombelical-diaristici gli uni e gli altri - lei esordisce con un feuilleton intenso e ammiccante come "Il bacio della Medusa" (Baldini & Castoldi, 1996; cfr. "L'Indice", 1996, n. 5), e si fa applaudire con qualche riserva. Quelle destinate con diffidenza agli esordi troppo appariscenti, che talvolta nascondono il vuoto di un ben orchestrato bluff o la casuale fortuna di chi annega tutti i suoi argomenti in un unico, felice risultato. Percorriamo ora con impegno e piacere questo secondo romanzo altrettanto fitto e tortuoso, per trovarvi - crediamo - la conferma di una reincarnazione dickensiana in abiti di fine millennio.
Per ambienti, trame e suggestioni, vien fatto di pensare alla Mazzucco come a una Paola Capriolo bulimica, tante sono le argomentazioni dilatate a dismisura da una narrazione che largheggia in sensazioni e particolari per giungere al cuore degli avvenimenti. Là dove la Capriolo suggerisce, sussurra e ammicca, la Mazzucco spiega, particolareggia, esemplifica e agisce alla moviola. Può essere faticoso per un lettore mordi e fuggi, mentre risulta rassicurante agli occhi di chi ancora ama centellinare le sensazioni nel mare infinito delle parole.
Detto questo, diventa problematico sunteggiare gli accadimenti intrecciati del romanzo, tra coincidenze epocali e casualità narrative, destini che si rincorrono e amori che si ripetono, enigmi irrisolti nel tempo e tragiche, fiamminghe devastazioni psicologiche che attraversano la Storia e la memoria.
Arsenio Ventura, storico d'arte, giunge al castello in restauro di Bastia del Garbo, luogo elettivo situato nel cuore delle Langhe piemontesi, dove lo ha condotto l'incarico di una perizia che deve accertare l'origine di affreschi risalenti alla fine del Quattrocento. Incontra Luisa Sanacore, la quale, pur essendone erede, è destinata a essere spodestata dal passaggio del maniero alla pubblica proprietà. I dipinti della camera di Baltus sono opera di Enrico da Sorano, pittore incaricato nel 1492 dal nobile Tristano Boccadiferro di affrescarne in tonalità epiche le pareti. Il risultato visibile è ormai affidato alla precarietà graziata dai secoli, ma Ventura coglie l'occasione per rilanciare la propria carriera critica un po' declinante. Singolari coincidenze: storia d'amore dolorosa tra Ventura e la Sanacore, tragica passione remota tra il Maestro Enrico e la nobile Alma, la donna di Tristano destinata a soccombere tra le pieghe minori della Storia.
I capitoli alternati fanno riemergere le casualità quasi magiche dei due momenti narrativi, dove le vicende private si mescolano al flusso di eventi storici antichi e frenesie dell'ambizione contemporanea. Baltus fu l'ufficiale napoleonico ricoverato con le sue ferite di guerra della campagna italiana del 1796 nella camera che acquisì, chissà come, il suo nome. Lassù il pittore Enrico già da secoli aveva raffigurato in tutta la sua magnificenza le "Metamorfosi" di Ovidio.
Le vicende narrate sono come un infinito gioco di specchi che si riflettono nel tempo e nella Storia, tra metafore e allusioni, citazioni e rimandi, eventi pubblici - superba l'allucinante cronaca dell'alluvione del '94 in Piemonte - e risvolti artistici, amori a circuito chiuso e parabole sentimentali assolute. Tra qualche sospetto di prolissità ben mascherato da uno stile privo di cadute, sono messe in mostra tutte le capacità "ottocentesche" di impossessarsi del lettore e di legarlo a quasi sacri obblighi d'attenzione, perché sacra è stata la dedizione dell'autrice nel percepire i giochi d'eco della vita per poi frammentarli, faticosamente, nel gran mare delle suggestioni che li trasformano, con nobile eleganza, in romanzo.
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