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scheda di Noce, M., L'Indice 1993, n. 6
Se si volesse inquadrare in un genere questo lavoro di Lalla Romano si potrebbe ricorrere alle stesse parole dell'autrice, laddove lo definisce un "resoconto" piuttosto che un racconto. Qualunque resoconto si fonda essenzialmente sulla memoria, anzi talvolta può rappresentare il tentativo di fissare in una forma più o meno organica di narrazione, di recuperare in modo coerente, una serie disordinata di frammenti di memoria, che si presentano insieme "in blocco, vuoti e pieni come un quadro informale: lucido ma frammentario". In questa operazione che, nel caso in questione, è sin dall'inizio destinata a fallire, la mente si perde in un ovvio alternarsi di passato e presente, di volti senza personalità e di personaggi senza volto, tra omissioni di cause necessarie e puntigliosi ricordi di particolari insignificanti: la storia sembra in realtà solo un pretesto per ricordare e per godere dell'esercizio della memoria. Eppure una storia c'è, benché piccola ("solo le piccole storie esistono" per Lalla Romano); ed è storia dei primi anni cinquanta, storia scolastica e, naturalmente, autobiografica. È la storia di Mimma Capodieci, insegnante, collega dell'autrice in una scuola media femminile, cui il tribunale ha tolto un figlio perché, per motivi religiosi, si è rifiutata di acconsentire a una trasfusione di sangue. È questo il caso di coscienza di Lalla Romano che, prese le parti della collega, non solo testimonierà in suo favore al processo, ma la difenderà appassionatamente nell'ambiente della sua scuola, chiuso e bigotto, ma non privo di personalità memorabili.
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