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Anno edizione: 2004
Anno edizione: 2012
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Tre notti a leggerlo per l'ennesima volta. L'incanto è tornato identico. Lo stesso spirito, una coscienza come ammanettata, l'ordito di ingannevoli specchi a tradire un senso e a infittire di buio ogni lieve azzardo di comprensione nel nodo della trama. Sempre aperta e feroce, tremante come la più amara sentenza sul vivere stesso, così arcignamente sbarrata al lume di un'aggiunta, ostaggio eterno nelle segrete del tempo, la domanda torna e si rifà da sola: che cos'è il Castello? Forse Dio, o la verità, o la legge, o forse proprio l'impossibilità di accostare questa triade arcana e scoprirne per qualche istante uno zigomo scarno, mezza occhiata, un tralcio di stentata chiarezza. Non a caso una delle chiavi più geniali dove arrancano e cedono al silenzio i mille disagi del lettore sono proprio i tanti ingressi del Castello: "Ora è in voga l'uno, e tutti passano di lì, ora l'altro, e il primo è disertato. Secondo quali regole avvengano questi cambiamenti non s'è ancora potuto scoprire". Ma che cosa significa? Che le vie della verità sono dedali sempre cangianti? Che non c'è mai un'uscita dai sentieri dell'affanno? I tranelli di Kafka sono semi d'infruttosa speranza, costanti misteri nei quali si azzoppa ogni corsa interiore, la resa che la mente deve davanti a sfondi e a suggestioni troppo intraducibili, siano esse incubi o sottili carezze ugualmente figlie di un Dove senza nome. In nessun libro si tocca tanto presto un senso di disperata impotenza, qualcosa come una notte nata e rimasta matrigna, lo sforzo a salire quella china, quelle curve ascendenti che illudono di avvicinare una porta. Che cos'è il Castello? Più il segreto avanza, più il permanere smorza le volontà montando una nebbia di smarrimento, la radice di una solitudine senza approdo. Veglia e sogno a battersi su una scacchiera che non darà mai né vincitori né patte. Questo il genio di Kafka, la sua grazia spettrale, l'insetto che ha intravisto e scolpito tutto il Novecento. Libro grandioso, inarrivabile.
Un romanzo impegnativo e spesso altalenante, ma indubbiamente di notevole valore. Migliore del romanzo "il processo". Mistico e ricco di riflessioni, purtroppo il romanzo è incompleto e lascia pieni di perplessità, ma forse questo è un bene...
Ho trovato molto impegnativa la lettura di quest'opera di Kafka, ciò nonostante la lettura di alcuni capitoli ha prodotto dentro di me le stesse sensazioni di quello che considero il vero capolavoro di Kafka, ovvero "Il Processo". In questi capitoli vengono trasmessi al lettore i brani di intere conversazioni della nostra quotidianità, dove le continue "tesi" messe in atto dai personaggi diventano prima plausibili, poi contraddittorie, poi nuovamente plausibili. La prosa, pur essendo notevolissima, risulta spesso appesantita a causa dei lunghi periodi e delle complicate riflessioni dei protagonisti. Rimane un'opera densa di significati, corposa e molto strutturata dove, attraverso l'atmosfera livida del villaggio e di un castello, anche metaforico, irraggiungibile per il protagonista, si producono le tematiche care all'autore, quali il senso di angoscia del vivere quotidiano, la mancanza di chiarezza nei rapporti umani, la ricerca della verità e della giustizia, la lotta e l'accanimento per raggiungere uno scopo, il senso vanificato delle proprie azioni prodotto dai comportamenti dell'uomo coinvolto nei meccanismi della burocrazia ma, si vorrebbe dire, dell'uomo coinvolto nei rapporti con l'uomo e con le sue limitatezze. Un romanzo che merita senza dubbio un'attenta rilettura, per cogliere con maggiore chiarezza il senso ineludibile delle angosce tipiche del nostro vivere.
Recensioni
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