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Il romanzo è ben congeniato, con ricchi particolari degli ambienti e del periodo storico. La trama è coinvolgente. Mi è piaciuto molto.
Sono contenta di averlo ripescato nella mia libreria dove aveva sostato troppo, perché è un romanzo che vale la pena leggere e assaporare tutte le emozioni che sa suscitare. Non posso dare il massimo perché ho amato troppo i romanzi di Follett dello stesso genere, che restano insuperabili. Qui a volte ho letto a fatica i brani prettamente "storici" relativi alle conquiste bellicose dei territori spagnoli; ma ho invece adorato la vicenda e i suoi personaggi, che riescono a coinvolgere e a catapultarti in prima persona nell'epoca buia del Medioevo. L'ho divorato fino all'ultima pagina, trepidando e gioendo insieme all'indimenticabile Arnau.
Al di là del discutibile ricorso allo stratagemma dello ius primae noctis con cui il libro esordisce, ho trovato il tutto veramente banale. Il problema non è solo il frusto espediente del nobilotto tirannico e della ricerca di vendetta: tutto lo scenario tardomedievale descritto dall'autore è talmente infarcito di luoghi comuni fritti e strafritti sul medioevo, che chiunque ami la Storia dovrebbe esserne cordialmente disgustato. La cosa più irritante di tutte è il costante *infodump* perpetrato con sistematicità da Falcones, che è una cosa che ogni lettore minimamente smaliziato dovrebbe avere in odio. A ogni capitolo, a ogni cambio di ambientazione, l'autore *ci spiega* cosa sta succedendo, senza nemmeno sforzarsi di mettere quelle parole in bocca a qualche personaggio. Cito a memoria: "Barcellona a quel tempo è una città in cui sta crescendo l'importanza dei mercanti", "i nobili erano più importanti in campagna", e via enumerando queste (banalissime) piacevolezze che dànno giusto l'idea che prima di scrivere il libro si sia documentato in tutta fretta su qualche Bignami delle medie, pensando che i suoi lettori ne sappiano ancora meno. Ma pure la narrazione affastella una serie di eventi convenzionali, prevedibili; il tutto ha un procedere scontato, che non regala nemmeno l'emozione di una trovata originale, ma dà l'idea di essere l'ennesima riproposizione di un canovaccio ordinario, già usato mille volte nella storia della letteratura: dà esattamente l'idea di essere scritto per un pubblico numeroso e di bocca buona. Può andar bene forse sotto l'ombrellone, ma certo non può avere la pretesa né di rappresentare uno spaccato credibile di Medioevo, né una buona prova letteraria.
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