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Il cavaliere, la donna, il prete. Il matrimonio nella Francia feudale
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4
1984
16 luglio 1982
VIII-270 p.
9788842020394

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Claudio Ti
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L’ambito di studio dell’Autore abbraccia i secoli a cavallo dell’anno Mille ed i documenti presi in esame sono quelli conservati nei monasteri francesi. Tuttavia, le vicende riguardano un po’ tutta l’Europa post Carolingia, in cui la mentalità era omogeneamente diffusa. Attraverso l’analisi degli scritti di Burcardo di Worms, Guiberto di Nogent, Ivo di Chartres ed altri, Duby ci mostra l’evoluzione della posizione ecclesiastica nei confronti del matrimonio. Ovviamente, i monaci che sono votati alla castità, cercano di imporre ai laici delle regole che limitino la passione nei rapporti tra coniugi e condannano il piacere sessuale: vietato avere rapporti durante tre periodi quaresimali e sempre in tre giorni di ogni settimana. La germanica tradizione del “friedelehe”, cioè della libera scelta di vivere insieme, non può che essere condannata dalla Chiesa, che la definisce “concubinato”. Anche il contrarre matrimonio viene sottoposto a spocchiose limitazioni; se tra i futuri coniugi vi è un rapporto di parentela (o di affinità) entro il settimo grado, il matrimonio assume un carattere incestuoso, è considerato nullo e la coppia doveva divorziare. Tale direttiva fu adottata dal clero senza alcun fondamento teologico. In un mondo in cui si richiedeva di formare coppie di pari rango, i sovrani ed i nobili erano spesso accusati di “incesto”, perché erano tutti imparentati, sia con il marito che con la moglie. Tra il decimo ed il dodicesimo secolo, la Chiesa riuscì ad impadronirsi della cerimonia e pose le basi per far diventare il matrimonio un vero e proprio “sacramento”,

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