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I Conti Gentilissimi sono troppo buoni e non sanno dire di no. Celestino è uno scroccone inguaribile e non sembra accorgersene e ogni occasione è buona per auto-invitarsi dai conti. Allora scattano i piani più disperati per farlo desistere, o andare via. Ma alla fine a guadagnarci e solo il farmacista che rifornisce il Conte del prezioso rabarbaro. L'ironia di Campanile si perpetua attraverso questo personaggio scroccone, in un romanzo dallo stile multiplo dalla forma teatrale a quella epistolare, tutto nel nome delle più grasse risate.
Nell'introduzione al libro, Barbara Silvia Anglani spiega due cose su Achille Campanile. La seconda è che lui, come un Wodehouse italiano, si sentisse perfettamente a suo agio nel raccontare della vita più o meno spensierata dei ricchi tra le due guerre... anche se poi il personaggio del Rompiscatole Celestino (suoi cognome e nome: tutti i personaggi qui presenti hanno nomi autoesplicativi) continua a rompere loro le scatole. La prima cosa è forse più interessante. Campanile era uno scrittore seriale da "riempitivi", nel senso che continuava a dover riempire le pagine dei tanti giornali su cui scriveva; i pezzi che sfornava erano quindi spesso brevi, come le famose Tragedie in due battute, e libri come questo sono quindi l'assemblaggio di pezzi inizialmente pensati a sé. In altre parole, abbiamo come punto di partenza una successione di tormentoni, ben prima di quanto sia poi capitato con gli sketch televisivi. Ma il bello dei tormentoni è trovarseli davanti uno per volta, per assaporare il modo in cui si arriverà al risultato finale: leggerli tutti di fila diventa presto stancante, nonostante Campanile cerchi di cambiare stile passando dal romanzo epistolare alla commedia e arrivando persino ai "resoconti stenografici" del pensiero dei protagonisti. Il mio suggerimento è insomma di centellinare la lettura, inframmezzandola con altri libri: tanto non è che ci sia chissà quale trama da tenere a mente.
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