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«In verità si è soliti dire che un potere superiore può privarci della libertà di parlare o di scrivere, ma non di pensare. Ma quanto, e quanto correttamente penseremmo, se non pensassimo per così dire in comune con altri a cui comunichiamo i nostri pensieri, e che ci comunicano i loro? Quindi si può ben dire che quel potere esterno che strappa agli uomini la libertà di comunicare pubblicamente i loro pensieri li priva anche della libertà di pensare, cioè dell’unico tesoro rimastoci in mezzo a tutte le imposizioni sociali, il solo che ancora può consentirci di trovare rimedio ai mali di questa condizione». Kant giunse a questa formulazione di sovrana lucidità nel corso di una vibrante polemica sul panteismo avviata da Jacobi nel 1785. Si trattava di difendere il significato, pur sempre misterioso, della ragione, accusata di sfociare necessariamente, se abbandonata a se stessa, in una visione atea del mondo. In gioco era dunque tutto l’assetto della filosofia critica. Così Kant volle dimostrare, con l’ausilio di felici metafore, che la ragione non ha solo una funzione dissolvitrice di ogni precedente credenza, ma può valere come preziosa bussola per orientarci nel buio della vita in ogni momento e in ogni situazione.
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L'illuminista Kant non ignorava quanto le declinazioni sociali e politiche della 'libertà di pensiero' (Freiheit im Denken) fossero annodate a quelle scientifiche e speculative. Nel breve saggio 'Che cosa significa orientarsi nel pensiero' (Was heißt sich im Denken orientieren?), apparso sulla Berlinische Monatsschrift, nel numero di ottobre del 1786, tracciava un interessante quadro entro le coordinate della sua personale filosofia della storia, partendo dalla fondamentale premessa che pensare correttamente significa pensare «in comune con altri a cui comunichiamo i nostri pensieri e che ci comunicano i loro» (p. 62). Il punto di partenza di un percorso che conduce inevitabilmente all'autoritarismo e alla abolizione della libertà di pensiero è costituito dall'esaltazione (Schwärmerei). Tutta colpa dei sognatori dunque. Contestando alla ragione «il privilegio di fungere da pietra di paragone della verità», essi privano gli amici dell'umanità della possibilità di «servirsi della propria libertà in maniera conforme alla legge [e] cioè finalizzata al bene del mondo» (p. 66). L'ottimismo di maniera di tanto illuminismo appare qui superato. Eppure Kant non intende rinunciare a una finalizzazione della storia, a quella che, nello scritto 'Der Streit der Fakultäten' (1798) avrebbe chiamato una storia (Menschengeschichte) predittiva (vorhersagende) e profetizzante (wahrsagend) e però natürlich (cfr. 'Il conflitto delle facoltà', in 'Scritti di filosofia della religione', Milano, Mursia, 1989, p. 282), consapevole delle enormi difficoltà di un itinerario nella universale indigenza. Viene così in primo piano questa idea dell'orientamento nel pensiero che funge un po' da collante di tutti gli argomenti irrecusabili. L'oriente del pensiero (segnavia e bussola, Wegweiser e Kompaß) è dunque la fede razionale; essa la carta topografica su cui l'homme moralisé decifra la figura o la via (Weg) «perfettamente adeguata [?] all'intero fine della sua destinazione [Bestimmung]» (p. 59).
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