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Da sempre nel calcio italiano convivono due culture: quella sportiva, secondo cui a vincere dev’essere il migliore, e quella dello scontro che fa di ogni partita l’occasione di un conflitto. Il recente «caso Balotelli» ha esasperato questa contraddizione: da una parte, mostra come il calcio sia un ambito in cui il talento è sufficiente per affermarsi, al di là del colore della pelle e delle origini; dall’altra, evidenzia la forte presenza del razzismo negli stadi, con in più il paradosso che a esserne vittima è un ragazzo italiano. A partire da questa contraddizione, Valeri passa in rassegna gli ultimi dieci campionati di serie A, B, Prima e Seconda Divisione, e Coppa Italia; attraverso le sentenze del giudice sportivo e le denunce della stampa, analizza oltre cinquecento episodi di razzismo di diversa gravità, a opera delle tifoserie non meno che dei calciatori. Ne viene fuori un quadro sorprendente, tanto per l’ampiezza e il radicamento del fenomeno (nelle tifoserie, nelle società e tra i calciatori), quanto per la difficoltà di contrastarlo (per la giustizia sportiva e penale, e le forze dell’ordine). Difficoltà che alcune volte lasciano intravedere una sottovalutazione del fenomeno e altre un’acquiescenza che sembra mettere in discussione sia la punibilità di alcune ideologie razziste, sia il concetto stesso di razzismo. Ma ancora una volta è la «generazione Balotelli» a segnare un punto di svolta: per niente disposta a essere considerata di serie B, obbliga le istituzioni e le società calcistiche a rivedere le proprie posizioni.
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