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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2015
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Sarajlic è un grandissimo poeta che, con versi incredibilmente semplici, giunge dritto al cuore. In un questa piccola raccolta di poesie c'è tutto il grande Sarajlic, il suo grande amore per sua moglie, la compagna di tutta una vita, per la figlia Tamara e per la sua Bosnia, martoriata dal conflitto bellico. Chi ha fatto il turno di notte? I poeti, risponde Sarajlic. Perché? Per evitare l'arresto del cuore del mondo. E il riferimento è a quando, durante l'assedio di Sarajevo, i poeti locali si ritrovavano di notte a leggere poesie a lume di candela, per tenere vivo qualcosa da salvare.
una voce poetica pienamente calata nella storia, quella di Sarajlic. L'antologia "bianca" poteva essere più corposa, visto lo spessore dell'autore. De Luca in prefazione: insopportabile!
L'esistenza del poeta bosniaco Sarajlic' ha attraversato due guerre sanguinose, la seconda mondiale e quella della ex Jugoslavia, perdendo in esse parenti stretti e amici cari, abitazioni e sicurezza economica, libri e pagine scritte. Ma nei suoi versi si parla di queste tragedie con una sorta di pacata accettazione, accentuando soprattutto l'aspetto sentimentale dei rapporti umani, la vitalità degli affetti che perdurano anche e nonostante i cataclismi storici. Così, il fil rouge che segna i cinquant'anni della sua poesia è senz'altro l'amore unico e insostituibile per la moglie, dagli anni giovani alle visite bagnate dalla pioggia alla tomba di lei, in versi commossi: "Un immortale agosto ti ha portato nelle mie ballate", "Cosa facevo io mentre durava la storia?/ Mi limitavo ad amare te." Talvolta tuttavia eccedendo in qualche banalità, od effetto troppo facile: "In questa tristezza che ci opprime entrambi,/ e io piango, piango, piango,/ perché sono tempi duri per l'amore, sempre più duri", "Oggi per me è importante ogni giorno/ in cui ti posso guardare." Alcune sue soluzioni stilistiche potrebbero ricordare Prévert, o un nostro Saba alquanto diluito: manca del tutto il senso del tragico, e ogni descrizione appare sospesa in una levità lontana dalle passioni. Quindi anche Auschwitz e Sarajevo sono vissute attraverso le sofferenze particolari di un'anima, e non dei destini collettivi di un popolo. Rimane in chi legge questi versi l'impressione di una cantabilità e semplicità eccessiva, di un sentimentalismo esibito, di un consapevole e orgoglioso rifiuto dell'elaborazione linguistica, quale invece si presuppone in un poeta contemporaneo. Erri De Luca, nella sua partecipe prefazione (in cui come sempre riesce a parlare di se stesso anche quando deve parlare di un altro) afferma: " In un poeta cerco, esigo che la sua vita sia all'altezza della sua pagina". Giustissimo: ma anche la pagina deve essere alta.
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