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Anno edizione: 2008
Anno edizione: 2012
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Nel discorso pronunciato il 18 febbraio 2007, Benedetto XVI ha affermato che "la non violenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l'atteggiamento di chi è così convinto dell'amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell'amore e della verità". Dall'interpretazione di questo principio, di per sé assai impegnativo, uno storico del cristianesimo come Daniele Menozzi è partito per ricostruire un aspetto di grande importanza della storia della chiesa cattolica, e in particolare dei suoi papi, nel ventesimo secolo, vale a dire l'atteggiamento tenuto dai pontefici, ma anche dal corpo della chiesa ai suoi vari livelli, di fronte ai temi fondamentali della pace e della guerra in un periodo segnato da due disastrose guerre mondiali e da molte decine di guerre locali e nazionali che hanno attraversato il pianeta, provocando scontri e addirittura genocidi in tutti i continenti.
Il volume, condotto con capacità di penetrazione e competenza, porta il lettore a ripercorrere analiticamente i discorsi e le encicliche dei pontefici che hanno attraversato il Novecento, da Benedetto XV a Pio XI e Pio XII, a Giovanni XXIII, a Paolo VI e a Giovanni Paolo II, al fine di cogliere l'evoluzione della dottrina ecclesiastica dalla categoria tradizionale della "guerra giusta" fino alla graduale delegittimazione religiosa dei conflitti che sembra emergere dal discorso di Benedetto XVI.
Il punto di partenza del lungo cammino può essere, in un certo senso, costituito dalla nota che Giacomo Della Chiesa, ossia Benedetto XV, invia alle cancellerie dell'Europa nell'agosto del 1917, mentre la prima guerra mondiale sembra giunta al massimo delle sue capacità distruttive, nota che si compendia nella celebre frase: la guerra "ogni giorno più, apparisce inutile strage". Menozzi ricostruisce con chiarezza come nasce quel giudizio, da quali elementi è contrassegnato, come si colloca all'interno di un contesto generale nel quale ancora si giustifica l'adesione del pontefice a una guerra giusta, ma, nello stesso tempo, si fissano limiti a quella concezione e si segnalano, nel caso specifico, comportamenti e condotte del conflitto che possono giustificare un giudizio alla fine drastico e categorico come quello contenuto nella nota alle cancellerie.
I successori di Benedetto XV, in particolare Pio XI e Pio XII, affrontano un periodo di particolare difficoltà, contrassegnato dalla preparazione negli anni trenta della seconda guerra mondiale, dallo sviluppo dei nazionalismi europei e dal fallimento della Società delle nazioni, di cui pure il mondo cattolico, benché tra frequenti incertezze e oscillazioni, si era a lungo fidato. Pio XI e Pio XII restano in qualche modo, pur essendo tra loro difformi quanto a formazione culturale e politica, ancora legati all'idea della cristianità medioevale come alternativa alla società laica e con una visione ancora fiduciosa circa il possibile primato della società religiosa sugli stati nazionali. La contrarietà alla guerra resta così contenuta nei limiti della guerra giusta da difendere rispetto a quella ingiusta e illegittima. A leggere i numerosi interventi di papa Pacelli, che deve affrontare l'estendersi dei fascismi europei e il nemico comunista che cresce a oriente, si ha la sensazione di una visione protesa verso il passato piuttosto che verso il futuro e di un'evoluzione assai limitata in merito al primato della pace rispetto alla guerra.
È invece con Giovanni XXIII e con Paolo VI che la chiesa cattolica fa un deciso passo avanti nella direzione di una parziale delegittimazione della guerra, dopo l'equilibrio del terrore tra i due blocchi internazionali contrapposti. Ma è soltanto con la fine del contrasto bipolare, all'interno del quale Giovanni Paolo II ha avuto un ruolo significativo nella lotta politica e ideologica al comunismo sovietico imploso alla fine degli anni ottanta, che si creano le condizioni storiche perché la chiesa cattolica possa mettere in discussione il concetto della guerra giusta e prendere in considerazione il messaggio evangelico della "non violenza".
Non c'è più ormai un nemico pericoloso come il comunismo sovietico da combattere e si può condurre una battaglia più aperta e decisa per una pace libera dai condizionamenti della situazione internazionale, anche perché ormai solo il sistema capitalistico domina, con modalità differenziate, il mondo intero. Non si spegne comunque il rapporto tra questo sistema e i conflitti che da esso derivano in alcune zone del pianeta e che provocano vittime e devastazioni in Africa e in parti dell'Asia e delle Americhe. Proprio da questa nuova situazione internazionale nasce, a nostro avviso, la strada della chiesa cattolica verso la delegittimazione religiosa della guerra, di cui prima Giovanni Paolo II e poi lo stesso Benedetto XVI si sono fatti interpreti negli ultimi anni.
Nicola Tranfaglia
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