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Con Il Cielo del perdono, Vincenzo Ieracitano torna a regalarci una nuova, intensa immersione nella sua Palermo letteraria, proseguendo idealmente il percorso iniziato con La grande Meretrice. Pur essendo un seguito, il romanzo vive di luce propria: la scrittura, densa di vita e contraddizioni, riesce a catturare anche chi non conosce il capitolo precedente. Al centro della narrazione c’è ancora una volta Geraci, un protagonista che sfugge a ogni stereotipo del “detective all’italiana”. Ex poliziotto ed ex uomo – nel senso più doloroso del termine – Geraci porta addosso le cicatrici della violenza e della disillusione, ma anche una struggente sete di riscatto. Quando lo ritroviamo, dopo la sparatoria che lo aveva quasi ucciso, è un sopravvissuto sospeso tra la vita e la morte, un uomo chiamato a ricostruirsi. La sua rinascita coincide con una nuova indagine: la scomparsa di Federico, figlio del professor De Rosa, vecchio amico di suo padre. Un caso che si intreccia con il fanatismo di un predicatore evangelista e con le ombre di un quartiere dimenticato, i Danisinni, dove il sacro e il profano convivono come in un affresco barocco. Ieracitano tratteggia la città con la precisione di un regista e l’intensità di un poeta. Le strade di Palermo, i suoi mercati, i volti degli ultimi: tutto vibra di realismo, di odori, di colori. La Palermo del romanzo è un organismo vivo, specchio della coscienza di Geraci — splendida e contraddittoria, capace di bellezza e crudeltà nello stesso tempo.
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