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recensione di Costa, A., L'Indice 1997, n. 5
Poco dopo l'inaugurazione a Torino della mostra sul precinema, "La magia dell'immagine", si è svolta una retrospettiva dal titolo "Ritmo come luce. Il cinema delle avanguardie storiche in Europa", prima parte di un progetto che prevede a breve scadenza un secondo appuntamento dedicato alle avanguardie in Italia.
All'apparenza, tra i due eventi non sembrano esserci molti legami.Da una parte, quel crogiolo di attrazioni visive, tra magia e scienza, baracconi di fiera e gabinetti di "phisique amusante", nel bel mezzo del quale fece la sua comparsa il cinema.Dall'altra, le sofisticate provocazioni delle avanguardie impegnate in una radicale negazione dell'arte nelle sue forme accreditate dalla tradizione e, insieme, del cinema in quanto riproposta delle funzioni tradizionali della narrazione ottocentesca (romanzesca e teatrale).
È stato a partire dal convegno di Brighton del 1978, dedicato al cinema dei primi tempi, che si è imposta un'interpretazione dello sviluppo del cinema quale oggi conosciamo come transizione tra due sistemi antitetici.Da una parte, secondo la terminologia introdotta da Tom Gunning e André Gaudreault, il "sistema dell'attrazione mostrativa" che caratterizza tanto il cosiddetto precinema, quanto il cinema dei primi tempi.E, dall'altra, il "sistema dell'integrazione narrativa", che sta alla base dell'ascesa e del predominio del cinema hollywoodiano.
Sostiene Bertetto, nel suo saggio introduttivo sulle strutture formali del cinema d'avanguardia, che il denominatore comune delle pur difformi esperienze dell'avanguardia europea, è la sistematica violazione "del modello rappresentativo-narrativo della visione, cioè di un modo di organizzare il visibile fondato sulla sua riduzione a una catena di rappresentazioni dominate dalla narratività". Lo stesso Bertetto, in un suo secondo intervento su "Un chien andalou" e "L'âge d'or" di Luis Buñuel, fa ricorso a categorie come "focalizzazione" e simili, messe a punto nell'analisi del cinema narrativo, per dimostrare la loro inapplicabilità a tali film, che non rispondono alla logica consequenziale della narrazione, ma ai meccanismi delle configurazioni inconsce, a un'economia dell'"intensità" piuttosto che a quella dello scambio narrativo.
È su questo piano che va individuata (e interpretata) la persistenza di un legame del cinema d'avanguardia con il "sistema dell'attrazione mostrativa" del precinema e del cinema primitivo.Per esempio, il "montaggio delle attrazioni" di Ejzensÿtejn, teorizzato e praticato prima in ambito teatrale e poi cinematografico, dimostra i legami dell'avanguardia con pratiche espressive "eccentriche" ispirate al music hall, allo sport, al circo.Inoltre, Velocità, una sceneggiatura inedita di Marinetti pubblicata recentemente da Lista in "Fotogenia" (1995, n. 2), dimostra che il padre del futurismo pensava a un cinema come insieme di effetti sbalorditivi, attuati e organizzati secondo il modello di quel "teatro di varietà" al quale era dedicato uno dei più importanti manifesti futuristi (1913) e con il quale il cinema primitivo manteneva stretti legami (Méliès, Fregoli, ecc.).
Mentre un tempo per vedere questi mitici film delle avanguardie bisognava attraversare mezza Europa, come ricorda il cineasta austriaco Peter Kubelka, ora la loro circolazione è garantita dai musei e, ancor più, dallo sviluppo dell'editoria delle videocassette.Inoltre la loro forza antagoni-sta rispetto al sistema dominante dell'integrazione narrativa si è in parte attenuato, dal momento che si sono affermati linguaggi come quello dei videoclip nei quali, come notava Bonito Oliva, si è realizzato "il paradosso visivo e sonoro più eclatante di integrazione linguistica che la tecnologia abbia realizzato".
Questo nuovo contesto è propizio a una rivisitazione delle avanguardie cinematografiche secondo una prospettiva meno ideologica e più storico-filologica, che è oltretutto la più adatta per recuperare alle radici il carattere "originario" di questa esperienza. Il bel catalogo pubblicato dal Castoro, assieme a testimonianze di protagonisti delle neoavanguardie (Mekas, Brakhage, Grifi, Gianikian & Ricci Lucchi, ecc.), presenta una serie nutrita di contributi storico-filologici ed estetico-interpretativi. Oltre ai saggi di Rondolino, Tinazzi, Sanchez-Biosca, Aumont, Klejman, vorrei segnalare quelli di Claudine Eizykman sull'uso e significato del termine avanguardia nel contesto cinematografico francese; di Guy Fihman che dimostra la natura essenzialmente "cinematografica" del film d'avanguardia (in contrapposizione alla tesi di una loro subordinazione alla ricerca pittorica o altro); e, infine, quello di Ruud Visschedijk che, attraverso un intelligente confronto tra due collezioni del Nederlands Filmmuseum, una dedicata alle avanguardie storiche e l'altra al cinema dei primi tempi, ripropone il problema dei rapporti tra l'avanguardia e il cinema "primitivo", che mi sembra l'aspetto più interessante emerso da questa retrospettiva, forse anche grazie alla concomitanza di cui parlavo all'inizio.
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