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Indipendentemente da ogni tipo di giudizio razionale sulla trama, il linguaggio, il tema, etc, io mi sono terribilmente annoiata leggendo questo libro. Si tratta di un racconto di piccole dimensioni (200 pagine) eppure è stata un'impresa giungere alla fine, abbastanza scontata tra l'altro. Peccato, perchè qualche spunto divertente ed ironico c'è..
Recensioni
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recensioni di Cortellessa, A. L'Indice del 2000, n. 02
Ermanno Cavazzoni, Cirenaica, pp. 211, Lit 24.000, Einaudi, Torino 1999
Bassomondo: "una città che non gode di salute economica; forse un tempo era stata florida e più abitata. Adesso non si sa neppure come si chiama". Chi parla non ha nome. O, meglio, non se lo ricorda. Ricorda appena il giorno in cui a Bassomondo è arrivato, in treno. Grande la sua sorpresa nel vedersi attorniato da una folla di parenti, e quando viene abbracciato da una ragazza bellissima di nome Annamaria, che lo chiama "Paolo". Non l'ha mai vista prima (ma ne è proprio sicuro? la sua memoria è cancellata). Mentre se ne sta lì, assorto, viene derubato di tutto. Dovrà imparare presto che truffare i viaggiatori spaesati è uno dei pochi modi per sopravvivere, a Bassomondo.
In teoria, nulla vieterebbe di ripartire. Ma a Bassomondo - regno che farebbe la felicità di Francesco Orlando - "tutto è vecchio o consunto": interminabili false partenze di corriere fatiscenti, vagoni che procedono lentissimi su binari morti per sprofondare alla fine, "secondo l'irreversibile legge dell'entropia universale", in un cimitero di fango e ruggine. Una specie di cosmico bacino di deiezione, percorso da energie debolissime e movimenti svogliati. Persino la luce delle stelle appare "in via di estenuazione". C'è chi prova a farsi una ragione, di questo stato di abbandono. Si sostiene che sugli "altipiani", azzurri e remoti all'orizzonte, "ci sono gli dèi, dalla vita imperturbabile, e dei quali - dicevano - noi di quaggiù siamo gli escrementi (...) materia fecale, che può solo scendere in basso, mai risalire". Paolo, agnostico, condivide però l'idea di essere stato concepito da un "autore"; certo, "un incompetente, di misere idee, un fallito, un poco di buono". A Bassomondo c'è un cinema. Ma proiettano "sempre lo stesso film, intitolato Cirenaica". Un raccogliticcio di spezzoni incomprensibile, dove si vede un uomo "vestito di flanella leggera; in una sequenza prendeva una manciata di sabbia e la faceva cadere lentamente come la sabbia di una clessidra".
Un giorno Paolo si procaccia il biglietto per l'ennesima corriera. Che però stavolta, miracolosamente, parte: attraversa l'oscurità, la nebbia, l'aria rarefatta delle altitudini; finalmente arriva a Milano. Dopo anni, Paolo crede di rivedere la sua Annamaria; lei è incerta, non lo riconosce. O forse sì. Un'altra volta incontra uno dei suoi compagni di razzìe, a Bassomondo; e scopre di rimpiangerli, quei tempi. Pensa di riutilizzare il vecchio biglietto, "per la Cirenaica". "Dunque sono ancora a Milano, ma ripartirò": ultime parole. Ma c'è una cornice. Cavazzoni la redige all'esordio, in tono buffamente notarile, dicendo di aver trovato il manoscritto appena riassunto alla Stazione Centrale di Milano, in mezzo al "binario 21, dove ci sono solo gli accelerati che vanno a Piacenza". Ha chiesto notizie ai disoccupati che vi bighellonano, ma loro "non s'interessano a niente; vorrebbero invece partire, ma per andare dove?".
Cirenaica è un almagesto di trovate comiche mirabolanti e stralunate, come Il poema dei lunatici (1987, dal quale La voce della luna di Federico Fellini, 1990) e Le tentazioni di Girolamo (1991). Come in quei piccoli e grandiosi poemi dell'insensatezza, l'assurdo concresce in una scrittura rallentata, minuziosa e a tratti persino preziosa, ma sempre come incerta, smemorata: che lievita per gradi sino a effetti di accumulo formicolante e sovraccarico. Esilaranti (sino alla follia ribalda e scatenata delle Tentazioni, misconosciuto capolavoro dello scrittore di Reggio Emilia) le prime pagine, che arrivano a un affollamento di voci e gesticolazioni ("una situazione di ressa indescrivibile lungo i vagoni in sosta, dove le truffe si intersecano e gli stessi truffatori debbono guardarsi da altri che si insinuano e li raggirano"), come quelle che mettono alla berlina la burocrazia o la società dell'informazione; persino crudeli quelle in cui le varie sette di disperati si prendono le loro piccole, ridicole vendette - gnostiche, manichee oppure epicuree - contro i malevoli dei degli altipiani.
Ma, come del resto sempre in Cavazzoni - e come nei suoi maestri: Manganelli, Frassineti, Celati -, il comico è solo la faccia in luce di una disperazione segreta. Alla fine non c'è davvero niente da ridere. Non solo quello in cui ci è dato vivere (nel quale anzi siamo stati esistenzialisticamente gettati: con moto "discenditivo" e deiettivo che non può non ricordare certi inferi manganelliani) è il regno della falsità e della contraffazione. Quanto è più tragico (e ìlare) è che nessun sogno di risarcimento o salvazione ci è concesso. Il viaggio di ritorno, parodia amarissima del "rimpatrio" gnostico, non fa altro che ricondurci in purgatorio ("a Milano ci si sta per un certo tempo, a scontare gli errori"), solo rovesciato rispetto a quello che già conoscevamo (lancinante è l'incontro con la seconda Annamaria). Dal mondo non ci sono vie di uscita. Ci si ricorda del finale delle Vite brevi di idioti: un vecchio vorrebbe uscire dall'ufficio nel quale è stato condotto in stato di amnesia. Annaspa lungo la parete alla ricerca di una maniglia che non c'è. Piange. In Cirenaica non arriveremo mai.
Se Cavazzoni (che insegna filosofia, e che il pensiero medievale e tardoantico ha messo in scena traducendo nel '93 Le leggende dei santi, una selezione dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine, e poi pubblicando sul n. 2 della rivista "Il semplice", nel '96, una Storia molto in breve riassunta dei monaci dei deserti della Siria) nel titolo allude a una terra che vanta i natali di numerosi pensatori, si potrebbe dire che irrisa è la convinzione di Sinesio di Cirene (V sec. d.C.), neoplatonico per il quale tra la perfezione divina e l'infima deiezione della materia l'uomo percorre una gerarchia di stati di illuminazione; mentre parodisticamente accolta è quella di Aristippo di Cirene (IV sec. a.C.), scettico che sosteneva come unico universo sia quello delle sensazioni e delle affezioni individuali. Si può anche pensare a Simone di Cirene: colui al quale, durante la passione di Cristo (Luca, 23, 26), mentre "tornava dai campi", viene inopinatamente gettata addosso la croce. Comprimario involontario di un dramma infinitamente più grande di lui. Uno che, in fondo, passa di lì per caso. Come il "Paolo" di Cavazzoni.
Di nuovo, rispetto ai primi due libri di Cavazzoni, c'è una decisa intenzione metalinguistica. Non a caso la patria celeste appare (confusamente, per speculum et in ænigmate: il protagonista, del resto, ha per nome "Paolo"...) in un film; non a caso i reclusi, oscuramente, si sanno personaggi di un autore invisibile, probabilmente malevolo (in questo senso Bassomondo non ricorda l'Underworld di DeLillo quanto, semmai, il Cool World di un curioso film di Ralph Bakshi, 1992: in cui la scalcinata e purgatoriale dimensione parallela nella quale è recluso Gabriel Byrne - nella non spiacevole compagnia di Kim Basinger e Brad Pitt - è quella di un fumetto da lui stesso disegnato). Non a caso è echeggiato Pirandello: a pagina 171 si immagina il cielo arrotolarsi "come un foglio di carta", ciò che ricorda lo "strappo nel cielo di carta" del Fu Mattia Pascal; a pagina 197 Paolo guarda "il mondo con un cannocchiale" e ne "ride", come in una pagina dell'Umorismo; pirandelliano al quadrato, per così dire, è poi il paradosso di pagina 206: Paolo a Milano si stupisce che la recita sociale prosegua anche quando non ci sia occasione di turlupinare qualcuno: "Qui a Milano non distinguono l'essere dall'apparire".
Stavolta Cavazzoni ci parla anche della sua scrittura, insomma. Una scrittura che procede - il paradosso è solo apparente - per forza di estenuazione, compitando a mezza bocca un'articolata retorica dell'esaurimento e dello sfinimento. Ma che non si nasconde il rischio dell'esaurimento proprio. Cioè la minaccia costituita da formule efficacissime, ma il cui "semplice" replicarsi condurrebbe fatalmente al logorio.
Informazioni
bibliografiche
Ermanno Cavazzoni, Il poema dei lunatici, Bollati Boringhieri, 1987.
Alberto Olivo, Ira fatale, a cura di Ermanno Cavazzoni, Bollati Boringhieri, 1988.
Ermanno Cavazzoni, Le tentazioni di Girolamo, Bollati Boringhieri, 1991.
Ermanno Cavazzoni, I sette cuori, Bollati Boringhieri, 1992.
Jacopo da Varagine, Le leggende dei santi, a cura di Ermanno Cavazzoni, Bollati Boringhieri, 1993.
Ermanno Cavazzoni, Vite brevi di idioti, Feltrinelli, 1994.
"Il semplice. Almanacco delle prose", n. 2, Feltrinelli, 1996.
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