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Anno edizione: 2022
Anno edizione: 2020
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Un viaggio per le strade buie della città eterna, un'indagine sulla natura umana, sulla responsabilità e la colpa, sull'istinto di sopraffazione e il libero arbitrio. Su chi siamo, o chi potevamo diventare.
«La letteratura, a differenza del cattivo giornalismo, non conosce mostri; il "mostro" è consolatorio, significa che noi umani non saremo mai cosí, e invece qui tutto è umano» – Walter Siti
«Colossale e perturbante » – Daniel Verdú, El País
Nel marzo 2016, in un anonimo appartamento della periferia romana, due ragazzi di buona famiglia di nome Manuel Foffo e Marco Prato seviziano per ore un ragazzo piú giovane, Luca Varani, portandolo a una morte lenta e terribile. Nicola Lagioia segue questa storia sin dall'inizio e mettersi sulle tracce del delitto significa anche affrontare una discesa nella notte di Roma, una città invivibile eppure traboccante di vita, presa d'assalto da topi e animali selvatici, stravolta dalla corruzione, dalle droghe, ma al tempo stesso capace di far sentire libero chi ci vive come nessun altro posto al mondo. Una città che in quel momento non ha un sindaco, ma ben due papi. Da questa indagine emerge un tempo fatto di aspettative tradite, confusione sessuale, difficoltà nel diventare adulti, disuguaglianze, vuoti di identità e smarrimento. Procedendo per cerchi concentrici, Nicola Lagioia spalanca le porte delle case, interroga i padri e i figli, cercando il punto di rottura a partire dal quale tutto può succedere.
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Sostanziale remake di "A sangue freddo" di Truman Capote con in meno Truman Capote, che non è poco. La peculiarità di Lagioia nel descrivere questo fatto di cronaca largamente inascrivibile ad alcuna della categorie del male utilitaristico che popola i nostri giorni è quella di rendere lo scenario perfetto di una Roma enorme, presuntuosa e come in decomposizione. Uno pensa che questo delitto, queste vittime e questi due stolidi carnefici siano una conseguenza di quello che quella città è diventata, o forse è sempre stata. Gadda nel "Pasticciaccio" non era arrivato forse, per altri rutilanti sentieri, alla stessa conclusione ? Quell'omicidio lì raccontato non era forse altrettanto gratuitamente efferato, rappresentato , come proiettato su una superficie indifferente e cinica, quella appunto della città che, a cose fatte, pretende giustizia ? Le possibilità psicologiche di comprensione dei due assassini , per quanti sforzi si facciano, sono nulle, o insoddisfacenti, nello stesso modo nel quale lo erano nel libro di Capote. E' come affacciarsi sull' orlo di un pozzo buio; dismessa l'umanità, anche quella minima di chi delinque, non resta che contemplare l'indicibile.
Attribuisco le cinque stelle perchè il libro è scritto e concepito bene; perchè ha il merito di sottrarre alla cronaca un crimine che merita riflessioni che restino e infine perchè ci consegna una descrizione quasi apocalittica della città nostra Capitale, caput mundi finchè si vuole ma circonfusa da un sentore di decomposizione avanzata, molto più avanzata di quella lasciataci da Pasolini nelle sue opere (cioè a compimento di quella mutazione antropologica di cui questi due assassini possono essere prototipi 2.0). Ciò detto, però, l'operazione in sè ed il canovaccio narrativo sono palesemente derivati da "A sangue freddo" di Capote ovvero: come affidare alla riflessione, se si può, un crimine che esorbita da qualunque senso criminale riconoscibile. Niente di male nel trovare ispirazione in un'opera che si è guadagnata alta considerazione negli anni come quella di Capote, ma succede che poi si finisce al raffronto con un grande narratore come lui, e lì non se ne può uscire indenni. Lagioia non ne esce in effetti indenne, ma c'è un lavoro, sotto, e onestà per cui mi sento di raccomandare questo libro in ogni caso.
Per me illeggibile. Triste. Piatto. Cronachistico. Noia in lettere.
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