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Anno edizione: 2020
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Sostanziale remake di "A sangue freddo" di Truman Capote con in meno Truman Capote, che non è poco. La peculiarità di Lagioia nel descrivere questo fatto di cronaca largamente inascrivibile ad alcuna della categorie del male utilitaristico che popola i nostri giorni è quella di rendere lo scenario perfetto di una Roma enorme, presuntuosa e come in decomposizione. Uno pensa che questo delitto, queste vittime e questi due stolidi carnefici siano una conseguenza di quello che quella città è diventata, o forse è sempre stata. Gadda nel "Pasticciaccio" non era arrivato forse, per altri rutilanti sentieri, alla stessa conclusione ? Quell'omicidio lì raccontato non era forse altrettanto gratuitamente efferato, rappresentato , come proiettato su una superficie indifferente e cinica, quella appunto della città che, a cose fatte, pretende giustizia ? Le possibilità psicologiche di comprensione dei due assassini , per quanti sforzi si facciano, sono nulle, o insoddisfacenti, nello stesso modo nel quale lo erano nel libro di Capote. E' come affacciarsi sull' orlo di un pozzo buio; dismessa l'umanità, anche quella minima di chi delinque, non resta che contemplare l'indicibile.
Attribuisco le cinque stelle perchè il libro è scritto e concepito bene; perchè ha il merito di sottrarre alla cronaca un crimine che merita riflessioni che restino e infine perchè ci consegna una descrizione quasi apocalittica della città nostra Capitale, caput mundi finchè si vuole ma circonfusa da un sentore di decomposizione avanzata, molto più avanzata di quella lasciataci da Pasolini nelle sue opere (cioè a compimento di quella mutazione antropologica di cui questi due assassini possono essere prototipi 2.0). Ciò detto, però, l'operazione in sè ed il canovaccio narrativo sono palesemente derivati da "A sangue freddo" di Capote ovvero: come affidare alla riflessione, se si può, un crimine che esorbita da qualunque senso criminale riconoscibile. Niente di male nel trovare ispirazione in un'opera che si è guadagnata alta considerazione negli anni come quella di Capote, ma succede che poi si finisce al raffronto con un grande narratore come lui, e lì non se ne può uscire indenni. Lagioia non ne esce in effetti indenne, ma c'è un lavoro, sotto, e onestà per cui mi sento di raccomandare questo libro in ogni caso.
Il caso che, a marzo del 2016, sconvolse l'Italia, riguardava l'omicidio di un ventitreenne, Luca Varani, per mano di due giovani di buone famiglie, Manuel Foffo e Marco Prato, che dopo averlo invitato nell'appartamento di Foffo usando del denaro come esca, lo avevano drogato, torturato e ucciso senza alcun movente. Un caso terribile, violento e agghiacciante, soprattutto per la quantità di sofferenze inflitte a Varani, e che avrebbero potuto far ragionare su molti aspetti "interessanti": la natura umana, la sessualità, il conflitto di classe, l'omofobia, la tossico-dipendenza, i rapporti tossici, la mentalità del branco, l'uomo che tende al male. E invece, purtroppo, Lagioia ha sprecato la sua occasione e ha scritto 450 pagine di nulla. Lagioia non esprime davvero i propri pensieri sul caso, ma pone solo domande, tante domande, troppe domande cariche di una retorica alquanto spicciola e senza riflessioni, e non ci conduce davvero da nessuna parte. Ha fatto una buona ricostruzione di Roma e dei suoi vizi, anche lì con ripetizioni e retorica come se piovesse, con ratti e droga e p3dof1li ad ogni angolo. Si può davvero parlare della pioggia dopo l'omicidio che lava la città o della possibilità di percepire il male all'interno dell'appartamento in un libro simile? (Non uso la parola "poracciata" solo perché si tratta di una storia vera). Un libro che pecca di quella profondità necessaria per rendere un libro di true crime qualcosa di più che un semplice quadretto voyeuristico di spettacolarizzazione della morte il cui unico intento è quello di colpire il lettore con la violenza contenuta fra le sue pagine. Troppi luoghi comuni, troppa superficialità, e troppa voglia di scioccare il lettore. Grazie a Lagioia che mi rammenta il motivo per cui, di base, non mi piace il true crime. Recensione completa sul blog "Lego, Legimus"
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