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La cittadinanza repubblicana. Come cattolici e comunisti hanno costruito la democrazia italiana (1943-1948)
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La cittadinanza repubblicana. Come cattolici e comunisti hanno costruito la democrazia italiana (1943-1948) - Angelo Ventrone - copertina
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cittadinanza repubblicana. Come cattolici e comunisti hanno costruito la democrazia italiana (1943-1948)

Descrizione


In questo volume - qui presentato in una nuova edizione integralmente rivista - i due maggiori partiti del dopoguerra, Democrazia cristiana e Partito comunista, sono studiati in quanto centri di partecipazione e di educazione politica, luoghi di formazione di grandi passioni collettive, elementi capaci di dinamizzare ima società civile ancora prevalentemente statica, disorientata dalla guerra e dalla fine dell'esperienza fascista. Il loro intenso sforzo propagandistico e l'impegno volto a radicarsi nella società attraverso organizzazioni a carattere economico, assistenziale, culturale, ricreativo, sportivo hanno contribuito alla costruzione di uno spazio politico nazionale e alla creazione, per la prima volta in Italia, di una democrazia a partecipazione di massa. Ma dall'analisi emerge anche come il ruolo svolto da comunisti e cattolici nei primi anni del loro operato abbia sostanzialmente ostacolato lo sviluppo di un'identità nazionale forte, anomalia di cui ancora oggi si misurano gli effetti.
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Dettagli

2
2008
24 gennaio 2008
298 p., Brossura
9788815121493

Voce della critica

"Quante ragazze sono uscite sane dai balli comunistici?": era una delle "dieci domande utili" da rivolgere al pubblico durante i comizi della Dc per le elezioni del 1948. Degne pronipoti di siffatte pochades, le banalità ricorrenti sui media portano oggi spesso a misconoscere il ruolo ricoperto non solo dalla Dc, ma anche dal Pci nello sviluppo della democrazia e della coesione sociale in Italia.
Arricchendo uno studio del 1996, Angelo Ventrone, professore all'Università di Macerata, chiarisce le dinamiche di ricerca del consenso fra il 1943 e il 1948 a opera dei due grandi partiti, convinto del fatto che a favorirli fosse anche stato l'accrescersi, durante la guerra, di comportamenti volti a preservare la solidarietà sociale. Pur accusandosi a vicenda come "nemici interni", poiché poggianti l'uno sull'Urss, l'altra sul Vaticano (e sui liberatori d'oltreoceano), e benché nel loro stesso fronteggiarsi ledessero il tessuto unitario uscito dalla Resistenza, Dc e Pci furono "le migliori agenzie di socializzazione politica di quegli anni". Secondo Ventrone, il comunismo nel nostro paese ha dato il meglio di sé perché non andò mai al potere. Fatto è che il Pci seppe rendere flessibile la propria struttura "rigida", imbastendo, con politiche sociali di ampio respiro, una duttile pedagogia delle masse; proprio come i democristiani. Certo, quando venne il momento della sfida elettorale, essendo tutelato dalla distante Urss, il Partito comunista ben poco poté contro il sostegno che la Dc ricevette dai dollari e dagli altari.
La propaganda, la liturgia politica, l'appello alle masse (donne e giovani compresi), la loro organizzazione nelle strutture partitiche e la mobilitazione avevano peraltro seguito due percorsi differenti: la Dc, soprattutto con Gonella, rivendicando la propria ostilità a ogni forma di totalitarismo si dichiarò interclassista; il Pci, vedendo nella classe operaia non l'unico soggetto politico di riferimento, ma un perno per il rinnovamento generale, sbandierava quale modello la Costituzione russa del 1936, ben poco rispettata, in effetti, da Stalin. Né i comunisti né i democristiani trascurarono l'organizzazione strategica del discorso elettorale. Al proposito sono di notevole interesse, per il Pci, i consigli rivolti dagli organi direttivi ai comizianti che dovevano parlare davanti ai contadini, e per la Dc le indicazioni sui "quadri murali", sorta di biblia pauperum del tempo. Circa il tema dell'organizzazione sul territorio, Ventrone indica più volte nel "modello fascista" un punto di partenza per il Pci, e in parte per la Dc, ma i fascisti stessi avevano in realtà ripreso l'organizzazione socialista in Italia e bolscevica in Urss.
La forza propulsiva dei due grandi partiti che si erano confrontati dopo vent'anni di regime – si legge in chiusura – svanì con l'affermarsi di una società industriale che, portando con sé "la secolarizzazione e l'attenuazione della carica ideologica delle due maggiori forze politiche", decretò la precoce fine di un'epoca e, si potrebbe dire, l'avvio del lungo letargo di una politica degli ideali. Daniele Rocca

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