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Hancock ha sorpreso con questo libro pure me. Prima lo giudicavo un ottimo narratore di argomenti archeologici, spesso conditi di mistero, che ha contribuito in qualche modo a immetere un po' d'aria fresca nel mondo dell'archeologia (e ogni tanto, ci vuole). Con questo libro, ha dimostrato anche di avere competenza e dedizione nel raccogliere un'infinità di informazioni concrete, indiscutibili nella sostanza. Se "Impronte degli dei" ha segnato un'epoca, qui l'autore è andato oltre. Si deve comiciare a prenderlo sul serio: molte delle "sue" scoperte sono vere (per questo, e per il solito ottimo modo in cui è scritto, dò il max dei voti). Da leggere.
Hancock è odiato come la peste o tutt'al più snobbato con un sorrisino di superiorità dall'establishment dell'archeologia ufficiale. Lo si accusa di strizzare l'occhio ai desideri reconditi delle masse assetate di ignoto per riempirsi il portafoglio. Eppure durante la lettura mi sono accorta che il tono spesso sensazionalistico, inizialmente fastidioso, cela un'autentica e perfino ingenua passione profonda per il proprio lavoro, ben lontana dal desiderio di suscitare l'effetto speciale. Hancock non è un archeologo professionista e il suo metodo di lavoro non corrisponde in tutto e per tutto a quello consacrato dall'Accademia. Però non è neppure un novellino: è molto accurato e si tiene in contatto costante con un'equipe di specialisti notevoli nel campo della geologia, della paleoantropologia e delle altre discipline necessarie per offrire supporto alla sua ricerca. Ne risulta un'ottimo stimolo per provare a trasformare la visione della storia umana dalla solita linea retta che parte da rozze creature pelose con la clava in mano alla celebrazione delle magnifiche sorti e progressive del XXI secolo, riflettendo invece su un concetto più ampio e complesso dell'evoluzione, che procede per cicli, zig zag, luci, ombre, nuovi inizi e nuove conclusioni. Senz'altro alcune delle ipotesi presentate dal libro sono discutibili (come quelle a proposito della cartografia tardomedievale), ma c'è molto altro materiale che merita di essere preso seriamente e approfondito senza pregiudizi. Del resto oggi le frange più avanzate dell'archeologia e della paleoantropologia ufficiale (Emmanuel Annati, Marija Gimbutas su tutti) sono più propense a modificare la visione stereotipata dell'uomo preistorico peloso con la fronte bassa e a retrodatare (complici sempre nuovi ritrovamenti come quello di Goebekli Tepe, IX-X millennio a. C.) l'inizio della cosiddetta "civiltà". Hancock è un dilettante, sì, ma sa cercare. Schliemann era un dilettante e il positivismo parruccone della sua epoca lo avversava apertamente, ma fu lui a ritrovare Troia.
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