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Ho avuto il piacere di avvicinarmi alla scrittura di Aita leggendo questo romanzo che mi ha attratta con voce suadente, come canto di Agane. Il fatto che sia scritto in friulano e ambientato nei dintorni mi è sembrato un buon motivo per procurarmelo. Ebbene, le aspettative non sono state deluse. Intendiamoci: la storia non mi è parsa del tutto nuova. Si tratta di "un libro che parla di persone che tornano, di nostalgia, di disperazione, di amore, di vite e di morti. Ma è anche un libro che narra del destino, di quei fili misteriosi e sotterranei che attraversano le nostre esistenze per annodarsi nei modi più insoliti". Recentemente ho trovato qualcosa di simile tra le pagine de La donna degli alberi, di Lorenzo Marone, e La manutenzione dei sensi, di Franco Faggiani, laddove i protagonisti fanno - per motivi più o meno traumatici - la scelta di tornare a vivere come un tempo, con semplicità e a contatto con la natura, riscoprendo quei gesti antichi, scolpiti nell'anima come un marchio alla nascita, che non si dimentica mai. È come se questi scrittori si fossero caricati la fatica di andare avanti delle persone intrappolate negli ingranaggi di una vita troppo frenetica, ma - in definitiva - vuota, per ridarle vigore. Però, la madrelingua qui attribuisce un gusto particolare, come di polenta che abbia un sentore affumicato, quel profumo che improvvisamente porta al passato, a ricordare chi eravamo e ciò che abbiamo perduto. Un sapore che sa di casa, insomma. La speranza, la fierezza, la determinazione, ma pure la disperazione, la paura e l'accettazione di ciò che capita giorno per giorno, sono sentimenti che accompagnano il lettore fino alla fine di questa bella storia, tanto comune - se vogliamo - al punto che ognuno può immedesimarcisi.
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