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Il film parte dalla storie di due madri single Janis , Penelope Cruz, e Ana che danno alla luce due bambine in ospedale , condividono la stanza in attesa del parto, che verranno scambiate per errore. Questo escamotage serve al regista per sviluppare l'argomento dell'ereditarietà o della formazione nella vita di ciascuno, ma tutto sembra confluire nella domanda di quanto sia presente negli spagnoli d'oggi la scelta fatta dai loro bisnonni a favore o contro la Repubblica. Infatti come prototipi di questa scelta abbiamo le due madri la borghese Ana , falangista nello spirito e Janis di anima repubblicana ma ambedue sembrano trovare una pacificazione quando insieme presenziano all'apertura di una delle tante fosse comuni disseminati lungo tutta la Spagna dove i franchisti seppellivano gli spagnoli anarchici o socialisti fucilati tra i quali , in quella fossa, si trovava il bisnonno di Janis fucilato in senso metaforico dagli antenati borghesi di Ana. Forse film della maturità di Almodovar che nasconde un sorprendente desiderio di riconciliazione tra i nipoti dei martiri e dei carnefici.
La storia personale di Janis affonda le radici nella fossa comune in cui all'inizio della guerra sono finiti molti degli uomini del villaggio scippati alle loro famiglie e alle loro case dai falangisti. A quella fossa inaccessibile, le donne del pueblo hanno legato la propria esistenza, tramandandone la memoria e la collocazione e costruendo sull’ombra che di essa rimane nell’erba la propria dignità e anche la possibilità di dare ai propri figli un’identità, un passato e dunque un futuro. Anche Janis - che nella fossa sa esserci finito il bisnonno - ha votato la sua esistenza a onorare quella memoria, a restituire a se stessa quell’uomo che non ha mai conosciuto ma che le ha lasciato in eredità il talento di guardare dietro la superficie delle cose e, soprattutto, dietro i volti delle persone. A riconsegnarlo a lei e alla nonna che le ha insegnato tutto il resto, anche solo dando a loro una degna sepoltura, l'uno accanto all'altra. Questa è la memoria storica su cui lavora Pedro Almodóvar. E lo fa mettendoci naturalmente tutti i luoghi che nei decenni hanno scritto e riscritto la natura formale e narrativa del suo cinema: le panoramiche sui seicenteschi palazzi madrileñi, i patios delle case di campagna, le porte che si aprono e chiudono mettendo in relazione e in movimento le scene di una, cento, mille storie. E ancora le cucine rosse e pop della città, le tendine ricamate a mano del contado, le verdure affettate, i dolci caserecci… E poi le donne, le madri certo, ma anche le nonne, le zie, le amiche, le amanti, le figlie. Un mondo di donne che non sono bastanti a se stesse per principio o battaglia o scarsa considerazione degli uomini, ma che hanno imparato a bastarsi per necessità, destino, scelta, imposizione, bisogno. Ognuna diversa, ognuna con le complessità e le semplificazioni, le trasparenze e le contraddizioni, i gesti coraggiosi e le meschinità che le caratterizzano. Ognuna pronta a lottare per la propria libertà, accettabile o meno che sia.
Almodovar imbastisce una trama su (almeno) due livelli, intrecciando le conseguenze della storia sul presente (il riconoscimento dei corpi degli assassinati dai falangisti nella guerra di Spagna) con il tema dell'identità biologica e no e dell'ereditarietà, rappresentato dalle vicende di Janis e Ana, le "madri parallele" del titolo. Ben costruito, ma piuttosto freddo e inquietante.
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