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Anno edizione: 2015
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E molto interessante lo consiglio vivamente
“Ma come fanno i poveri?”, chiede André quando la figlia Emmanuèle lo informa del costo della pratica di suicidio assistito nella clinica svizzera che ha contattato. Una battuta. Breve, sottile, amara. François Ozon sceglie di portare così sullo schermo il libro nel quale Emmanuèle Bernheim ha raccontato come si è trovata ad assecondare la richiesta del padre, colpito da ictus, di mettere fine alla propria esistenza. Insiste molto su questo tono lucidamente ironico. Ci lavora con metodo, forse anche con un po’ troppa insistenza, come per dimostrare che si può morire in un modo diverso, o che, perlomeno, se ne dovrebbe avere il diritto. Un modo diverso vuole anche dire potendo scegliere di far convivere il conflitto morale, il dolore personale, il dramma esistenziale e affettivo con la vivacità di spirito. Perché, in fondo, il diritto a morire con dignità non è altro che avere la possibilità di andarsene quando la vita non ci corrisponde più o meglio quando il corpo non è più l’involucro corrispondente allo spirito che contiene. E non è per forza necessario ricorrere a un Dio per morire in pace, non c’è bisogno di affidarsi per forza alla volontà di qualcuno o qualcosa che decida al posto nostro, si può decidere in modo autonomo. Che non significa meno struggente e doloroso. Un film scritto in modo molto preciso, studiatissimo, che affida con profonda fiducia ai suoi interpreti la parte emotiva ma anche intellettuale del racconto. Non un diario personale ma una sorta di domino di sguardi personali, nessuno esterno, tutti coinvolti, tutti costretti a misurarsi con la Morte; la propria, quella altrui, quella delle persone che si amano. Perché la morte è di tutti ma questa morte dignitosa in cui può andare tutto bene non è per tutti. Una questione ancora lontana da aver trovato una dimensione di civile legittimità
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