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Un cinema libero, destrutturante, girovago. Un cinema che merita di essere seguito
La storia di un'amicizia, quella di Lazzaro, un contadino che non ha ancora vent’anni ed è talmente buono da poter sembrare stupido, e Tancredi, giovane come lui, ma viziato dalla sua immaginazione. Un’amicizia che nasce vera, nel bel mezzo di trame segrete e bugie. Un’amicizia che, luminosa e giovane, è la prima, per Lazzaro. E attraverserà intatta il tempo che passa e le conseguenze dirompenti della fine di un Grande Inganno, portando Lazzaro nella città, enorme e vuota, alla ricerca di Tancredi.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Assaporando scena dopo scena e l'uso di un italiano dalle tinte poetiche capace di generare sinestesie intense e reali: ad esempio il profumo delle zagare e di quegli aromi che, per me, sanno di casa. La storia racconta il lento declino della potenza borbonica che cedendo il passo alla nascita del Regno d'Italia, non si rispecchia nelle nuove leve ma in una classe dirigente destinata non a soccombere ma semplicemente ad essere sostituita da nuovi potenti. Perché questa è la differenza che separa il Principe di Salina dagli altri, questo è ciò che lo rende Il Gattopardo, la consapevolezza di essere parte di qualcosa di più grande, una ciclicità che non si può arrestare. Una spanna sopra gli altri, vince grazie alla sua mente che viaggia più avanti di un secolo o più, il Principe è il personaggio chiave del romanzo, simbolo di un'epoca che è destinata a non rivedere la luce ma nonostante tutto lui brilla, sempre ed in ogni situazione. Un film potentissimo e soprattutto vero che racconta attraverso personaggi come Lazzaro o come Tancredi, uno spaccato di fine ‘800. Essere a passo con i tempi non è mai semplice e questo film ne racconta tutte le sfaccettature dedicando anche uno spazio importante all'ambiente ecclesiastico. I dialoghi hanno una grande potenza esplicativa e arrivano dritti al cuore e alla mente, smuovendone la coscienza e invitando a riflettere.
Questo film porta alla ribalta una storia davvero accaduta, ovvero una ricca signora definitasi ''Contessa'' (nel film interpretata da Nicoletta Braschi) sfruttava un gruppo di ingenui mezzadri relegandoli ai margini della società e senza dare loro i più ovvi diritti in tema di lavoro, non avendoli minimamente informati dello sviluppo della società italiana al di fuori di quel micro-cosmo di campagna. Venendo invece al tema del protagonista, si tratta di un buonissimo giovane bracciante di nome Lazzaro, che tra un lavoretto e un altro riesce a stringere un'anomala amicizia proprio col figlio ricco e viziato della Contessa, di nome Tancredi. Fin qui il film aveva una trama a mio avviso interessante, poi non ho concepito la scelta narrativa di far invecchiare tutti i personaggi tranne Lazzaro, il quale si ritrova decenni dopo a cercare Tancredi nella grande città sviluppata con le sembianze ancora di ragazzo. Infatti, nel luogo degli sfruttamenti arriverà la polizia e scoprirà il Grande Inganno della Contessa, che perderà le sue ricchezze, mentre tutti i mezzadri scapperanno in città alla ricerca di una nuova vita. Tuttavia, la migliore amica di Tancredi, interpretata da Alba Rohrwacher, diventerà una truffatrice compagna di un rom e vivrà in una baracca, e proprio li' incontrerà Tancredi ancora giovane al contrario di tutti gli altri...
Bellissimo film, molto poetico, delicato, commovente; la storia affascina e tiene incollati allo schermo per capire come andrà a finire, molto coinvolgente e Lazzaro il protagonista è adorabile, vi ruberà il cuore, ne sono certa. La Rohrwacher si è già portata a casa un bel po' di premi per questo film (miglior sceneggiatura da Cannes, se non erro), una regista talentuosa, da tenere d'occhio.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un cinema libero, destrutturante, girovago. Un cinema che merita di essere seguito
Trama
La Marchesa Alfonsina de Luna possiede una piantagione di tabacco e 54 schiavi che la coltivano senza ricevere altro in cambio che la possibilità di sopravvivere sui suoi terreni in catapecchie fatiscenti, senza nemmeno le lampadine perchè a loro deve bastare la luce della luna. In mezzo a quella piccola comunità contadina si muove Lazzaro, un ragazzo che non sa neppure di chi è figlio ma che è comunque grato di stare al mondo, e svolge i suoi inesauribili compiti con la generosità di chi è nato profondamente buono.
‘Lazzaro Felice’, neo-realismo magico per resuscitare il cinema italiano
Come il canaro buono di 'Dogman', il film di Alice Rohrwacher - migliore sceneggiatura a Cannes - è una meraviglia da cui ripartire
Lazzaro, il Lazzaro dei Vangeli, non è solo colui che risorge, ma è colui che Dio piange morto e per questo risorge. È il pianto di Dio a renderlo santo. Ma nella vulgata comune, almeno in quella del ’900, Lazzaro è anche il povero in terra. Se uniamo le due definizioni abbiamo sia il Lazzaro prova della compassione di Dio sia il povero che appartiene alla terra e quindi risorto.
Difficile non pensare, di fronte a Lazzaro felice, il film di Alice Rohrwacher (migliore sceneggiatura a Cannes), al Lazzaro della tradizione cattolica, ma anche ai tanti lazzari che hanno percorso il cinema italiano. Quelli di Olmi o dei Taviani, per esempio, per non tornare a Rossellini. Quando si parla di “rinnovamento italiano” si ricorre sempre a Rossellini e al Neorealismo, come ha fatto Libèration, che ha lanciato forse troppo avanti il film della Rohrwacher.
Ma è indubbio che tra il canaro buono di Dogman e il Lazzaro di Lazzaro felice non si può non notare questo realismo magico che periodicamente il cinema italiano ripropone per “risorgere”. L’idea vincente del film, e quella più originale, è proprio nella costruzione di questo personaggio così buono da apparire santo: Lazzaro di nome e felice perché riesce a essere felice malgrado tutto (l’inedito Adriano Tardiolo, perfetto), che attraversa ogni vessazione sociale con lo stesso spirito candido.
Sfruttato in un passato indefinito dai padroni e dai contadini, la classe alla quale dovrebbe appartenere. Se nella prima parte assistiamo alla sua vita miseranda e alla sua morte in un dirupo mentre cercava di rispettare i valori dell’amicizia e della parola data, nella seconda lo troviamo risorto, identico al se stesso di prima, alla ricerca di chi lo aveva massacrato.
Ritrova quindi i contadini, diventati piccoli ladri, come Sergi Lopez e Alba Rohrwacher, che vivono ai margini della città, e trova i nobili, come il marchesino suo amico diventato uno squattrinato. Il candore di Lazzaro non è cambiato, e non è cambiata la crudeltà del mondo nei suoi confronti, e di quanti non riescono a vedere la sua santità. Rohrwacher dirige i suoi attori, professionisti e non, con attenzione e amore, ottenendo grandi risultati e ha dalla sua la fotografia di Hélène Louvart, un po’ scura, un po’ sporca, perfetta per il suo racconto. Qualcuno contesta l’uso del drone, poco rosselliniano in un film così rigido.
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