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Non è un film comune nel panorama italiano "Ariaferma". Anzi è proprio una gemma preziosa. Soprattutto per come è impostato il lavoro con gli attori. Due interpreti straordinari ma allo stesso tempo ingombranti come Toni Servillo e Silvio Orlando, in scena insieme per quasi tutto il film, sono una responsabilità non semplice da gestire. Di Costanzo rasenta il thriller e il poliziesco soprattutto nel descrivere il crescendo della tensione. Senza mai perdere il controllo, con una regia giocata tutta sulla sottrazione, in cui ogni gesto, parola, sguardo assumono un significato doppio (o triplo) rispetto a quello più immediato. In questo racconto sospeso, dentro un tempo e uno spazio quasi irreali – ad un certo punto arriva un black out che ammanta tutto di un’atmosfera quasi fantastica – a emergere sono temi universali della socialità, della convivenza e dell’agire collettivo che, a causa della struttura circolare del carcere, risultano amplificati e diventano macroscopici. Un film profondamente umanista, capace di usare la metafora del carcere per ragionare sul senso collettivo dell’isolamento, Non solo quello dovuto alla pandemia cui viene facile pensare, ma in scala più ampia all’ingabbiamento e alla reclusione come sentimenti universali. Perché come ha detto il regista stesso "Ariaferma" è prima di tutto «un film sull’assurdità del carcere». Come istituzione, come regime di controllo e di disciplina. E sono le immagini a dircelo, ancora prima del racconto, dei personaggi o dei dialoghi. Con un’alternanza di inquadrature fra l’interno e l’esterno, esplorando il vuoto e l’abbandono delle strutture della prigione e osservando per mezzo delle camere di sorveglianza, Di Costanzo crea un’architettura emozionale, che sembra vivere e respirare insieme agli individui che la abitano. Inserita in uno spazio decadente che come la carcassa di una balena continua a imprigionare i suoi occupanti anche dopo la propria morte.
Intenso.
Recensioni
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