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Il film è suddiviso in tre atti, tre capitoli o, per meglio dire tre movimenti, concentrando di volta in volta l’attenzione su un personaggio (Éva, Lena, Jonas) e segue le dinamiche di quel che sta avvenendo attraverso il ricorso ad un'inquadratura di lunga durata in parte reale ed effettiva, in parte “agevolata” dal lavoro in fase di montaggio, che evita sempre con accuratezza il rischio di trasformarsi in un esercizio di stile, ma interroga lo spettatore sul tempo che è lecito considerare sostenibile all’interno di una narrazione. Contemporaneamente i tre segmenti sono testimoni di tre idee concettualmente diverse del piano sequenza: c’è l’utilizzo dello spazio-tempo come arma quasi prossima al surreale, e all’orrore puro che non può essere tagliato, dominato dunque dall’immagine; quello che prevede lo sviluppo privo di troncamenti bruschi della dialettica, e che si concentra sulla parola; e infine quello che segue a mo’ di pedinamento il personaggio, e si incardina nel solco del sentimento. L’immagine pura, quasi astratta, surreale come i capelli che invadono la camera a gas che l’esercito sovietico sta smantellando con crescente orrore e disperazione, si fa parola decenni dopo in un appartamento di Budapest, quando Lena va a trovare sua madre Éva, e quindi ancora si tramuta in puro movimento a Berlino, dove Lena si è trasferita con il figlio adolescente Jonas. Ecco dunque che la tripartizione oltre a ragionare sul tempo si trova a ragionare sullo spazio, e sulle nazioni. Perché il film parla di identità, quell’identità dapprima vietata e martoriata, quella dell’ebraismo, ma anche l’identità come senso di appartenenza a un consesso umano. Non è casuale che la madre di Éva, che la partorì nel campo di sterminio, avesse cinque documenti di identità, chissà quali veri e quali falsi. E non è casuale che ognuno dei tre personaggi abbia un rapporto completamente diverso con l’ebraismo, e il suo significato.
La lugubre eredità della Shoah attraverso tre generazioni di una famiglia che si trascina gli strascichi di una delle più grandi tragedie della storia del novecento.
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